Diagnosi e terapia della nevralgia post-herpetica

(considerazioni su una situazione clinica che è la sintesi di tutti i tipi di dolore neuropatico)

 

Guido Orlandini

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Nel capitolo del dolore neuropatico, la Nevralgia post-herpetica (NPH) come sequela dell’Herpes Zoster (HZ) rappresenta una condizione molto particolare perché, come si evince dalle Figure 2 e 3 dove si vedono le possibili sedi della lesione algogena, lungi dall’essere un’unica entità, in essa sono possibili tutti i tipi patogenetici di dolore neuropatico, singolarmente o variamente rappresentati, provocando la diversa gravità del quadro clinico, condizionando la prognosi e complicando la terapia.

Per queste caratteristiche lo studio della NPH è particolarmente interessante perchè suggerisce molti stimolanti quesiti che ci spingono a riconsiderare criticamente le nostre conoscenze di fisiopatologia del dolore, di semeiotica del dolore e di decisione terapeutica.

 

 

Concetti da chiarire

 

Rimossa la semplicistica credenza che la Nevralgia post-herpetica sia un’unica entità, restano vari aspetti che devono essere chiariti a partire dalla definizione per arrivare alla patogenesi che merita un’attenzione particolare.

 

 

Definizione di Nevralgia post-herpetica

 

Va chiarito addirittura cosa s’intende per NPH. Per alcuni la NPH è qualsiasi dolore che rimane dopo la guarigione delle lesioni cutanee da herpes zoster (HZ) vale a dire 2-4 settimane, per i più è il dolore che dopo quella guarigione persiste per 3 mesi e per altri è il dolore che persiste per 6-12 mesi o per sempre. E’ chiaro che se consideriamo NPH solo il dolore che persiste per più di un anno dalla guarigione delle lesioni herpetiche della cute, la sua incidenza è alquanto inferiore rispetto al caso in cui consideriamo tale anche il dolore presente appena dopo la risoluzione dell’eruzione cutanea o dopo 3 mesi.

 

 

Incidenza dell’Herpes Zoster e della Nevralgia post-herpetica

 

L’incidenza dell’Herpes Zoster è di 875/100.000/anno secondo Kost e Straus [1996], di 300-500 casi/100.000/anno secondo Zhang e Coll.[2022] e Beydoun e Coll.[2021] ed è aumentata negli USA da 266 a 579 casi/100.000/anno nel periodo 1994-2018 secondo Thompson e Coll.[2021]. In definitiva, l’incidenza dell’HZ dovrebbe essere (con una inaccettabile approssimazione) fra -800 casi/100.000/abitanti/anno.

Ancora più approssimazione c’è sull’incidenza della NPH. Infatti, dato che in molti pazienti l’infezione da HZ provoca sintomi che si prolungano nel tempo tanto da giustificare l’espressione popolare di “male delle nove lune” e che v’è la tendenza alla guarigione spontanea, se non si stabiliscono netti confini fra l’HZ e la NPH con una chiara definizione, non solo non si può sapere quando finisce l’uno e comincia l’altra ma neppure si può stabilire con certezza qual è l’incidenza della NPH ed è per questo che c’è una enorme disparità di opinioni al riguardo.

Secondo Kost e Straus [1996] il 70% dei casi di HZ diventano NPH che guariscono in un anno e il 45% diventano NPH che durano per sempre. Per alcuni l’HZ diventa NPH nel 20% dei casi [Ngo et al.2016] ed altri parlano del 33% [Follini 1993]. Secondo Paisley e Serpell [2015] la NPH si presenta a seguito dell’HZ nel 60% dei pazienti di più di 50 anni e nel 75% di quelli di oltre 75 anni.

Infine, per quanto riguarda la sede coinvolta dall’HZ e dalla successiva NPH, sarebbe interessata la regione toracica nel 55% dei casi, quella lombare nel 14%, quella cervicale nel 12%, quella sacrale nel 3% e quella craniale nel 15% [Loeser 1990]: questi dati sono in accordo con quelli segnalatati per la NPH trigeminale (15-20% dei casi) da Li e Coll.[2021].

 

 

Espressività clinica

 

Un altro elemento di confusione riguarda l’espressività clinica della NPH: per alcuni si può parlare di NPH solo se c’è il dolore e non quando si ha soltanto l’allodinia considerata come “sensibilità anormale” (la “abnormal sensation”) e per altri configura la NPH anche la sola presenza dell’allodinia. Dato che il dolore si ha in circa 1/3 dei casi e l’allodinia il 2/3 dei casi, è chiaro che l’incidenza della NPH è alquanto inferiore se consideriamo NPH solo il dolore o anche l’allodinia.

Nel 70-80% dei casi un periodo prodromico con dolori dermatomerici precede di 4-5 giorni la comparsa dell’eruzione herpetica: alcuni pazienti hanno un periodo prodromico più lungo (da 7 a 100 giorni, secondo Gilden et al.[1991]) mentre in altri non c’è alcun periodo prodromico e il dolore compare in concomitanza con l’esordio dell’eruzione o persino dopo. In qualche caso, infine, si ha soltanto il dolore senza alcuna eruzione cutanea (zoster sine herpete) che, secondo uno studio, è più severo che nell’HZ con eruzione [Drago et al.2019].

Nel 1979 Lipton riassumeva i caratteri clinici della nevralgia post-herpetica stigmatizzandoli nei seguenti punti:

• dolore uniforme, urente o disestesico (bruciore, spilli sotto la pelle, sensazioni sgradevoli per descrivere le quali mancano le parole) che recede col sonno e la completa immobilità. Molti pazienti affermano che quando si svegliano al mattino il dolore non c'è e non compare finché rimangono perfettamente immobili;

• dolore parossistico, folgorante (come una scarica elettrica) scatenato dal contatto della cute affetta o dagli stimoli emotivi;

• allodinia che soggettivamente si manifesta con disestesie a tipo bruciore-puntura, provocate dal contatto della cute. Per queste percezioni distorte, spesso riferite come insopportabili, il paziente non tollera il leggero contatto degli abiti sulla parte affetta.

 

 

 

 

Considerazioni patogenetiche

 

Se c’è confusione sulla sua definizione e la sua incidenza, ancora più c’è sulla patogenesi della NPH: sono stati chiamati in causa vari fattori molto diversi fra loro e questo spiega anche la diversità dei trattamenti proposti per curarla e spesso la mancanza di una chiara correlazione fra il trattamento e il meccanismo patogenetico.

L’unico dato universalmente condiviso e monotonamente ricordato in tutti i lavori sull’argomento è che nei soggetti che durante l’infanzia hanno contratto la varicella, il virus varicella-zoster resta annidato per tutta la vita nei gangli sensitivi e la sua riattivazione è impedita dall’immunità cellulare indotta dalla primitiva infezione. E’ una riduzione delle difese immunitarie a permettergli di riattivarsi e riprendere a replicarsi. A sua volta, la replicazione virale sarebbe responsabile dell’infezione del ganglio della radice dorsale o del ganglio di Gasser (ganglioradicolite). Nel corso della vita, il rischio di riattivazione del virus con produzione dell’HZ sarebbe intorno al 30% [Warren-Gash et al.2017].

Va notato che la ripresa d’attività del virus trova il sistema immunocompetente sensibilizzato all’epoca della varicella, per cui la risposta immunitaria è abbastanza vivace da confinarlo nella sede dov’è iniziata. Per questo, l’HZ interessa abitualmente solo un metamero e la sua diffusione oltre quella zona, in genere con esito letale, si ha solo in pazienti gravemente immunodepressi. L’apparente localizzazione su più metameri non significa l’interessamento di più nervi spinali ma riflette la normale distribuzione delle radici spinali che, oltre il territorio d’innervazione primaria, raggiungono un più vasto territorio d’innervazione secondaria. Questo vale per i nervi spinali ma non per il trigemino le cui branche si distribuiscono ad uno specifico territorio fracciale senza sovrapposizioni.

Storicamente, si sono susseguite neumerose ipotesi per spiegare la patogenesi della NPH ed è il caso di esaminare brevemente qeulle più significative perché, pur non essendo singolarmente esaurienti, forniscono ciascuna un tassello alla sua comprensione.

 

 

Ipotesi dello sbilanciamento dell afferente (“input imbalance”)

 

Nel 1959 Noordenbos, esaminati istologicamente i nervi intercostali di quattro pazienti e riscontrata la riduzione del numero delle grandi fibre afferenti, ipotizzò che la ganglioradicolite producesse un danno prevalentemente a carico delle fibre mieliniche Aβ cui conseguirebbe la ridotta inibizione delle afferenze nocicettive. L’ipotesi dell’input imbalance (intimamente collegata alla teoria del gate-control di Melzack e Wall [1965]) è la più nota tra quelle proposte per spiegare la patogenesi della nevralgia post‑herpetica e quella che ha suggerito l’impiego terapeutico della TENS ma non è mai stata confermata.

 

 

Ipotesi dei contatti efaptici

 

Infettati con il virus dell’HZ i gangli delle radici dorsali del ratto, Schon e Coll.[1987] osservarono che la ganglioradicolite, forse per la costituzione di contatti efaptici, comporta una scarica ripetitiva ed ipersincrona delle cellule gangliari che può essere responsabile di un cronico input anomalo al midollo e quindi del persistere del dolore.

 

 

Ipotesi della flogosi cronica

 

Secondo l’ipotesi della flogosi cronica, la NPH sarebbe sostenuta dal persistere dell’infiammazione provocata dalla riattivazione del virus. Di fatto, in uno dei riscontri autoptici di Watson e Coll.[1991] sono stati riscontrati infiltrati linfocitari ad impronta flogistica nel ganglio e nella radice dorsale e secondo Devor [2018] la remissione della flogosi determina l’abolizione dei focolai di elettrogenesi ectopica.

A sostegno della tesi dell’infiammaziome, Kim e Coll.[2018] valutarono l’importanza dell’indagine sui markers dell’infiammazione (VES, Proteina C-reattiva e conteggio dei globili bianchi) come fattore predittivo dell’evoluzione dell’HZ in NPH, segnalando che la VES è il marker più signicativo. Inoltre, recentemente gli stessi Kim e Coll.[2022], osservando che la temperatura cutanea passava dal caldo al freddo 12 settimane dopo l’HZ evidentemente denunciando la fine della fase infiammatoria, sostennero che solo se il dolore è ancora presente dopo 3 mesi si può parlare di NPH. In realtà, la cosiddetta fase infiammatoria può durare molto più di 3 mesi [Kotani et al.2000] e quindi non è chiaro se convenga parlare di NPH solo quando la fase infiammatoria si è risolta e resta il danno nervoso permanente o anche quando la flogosi è ancora presente ed è concausa o in qualche caso addirittura la causa principale della NPH. Nel primo caso, siamo di fronte ad una NPH provocata dal danno nervoso, senza possibilità di guarigione che durerà per sempre mentre nel secondo caso siamo di fronte ad una NPH infiammatoria che è trattabile con il metilpredisolone (intratecale o peridurale) e, se non ha prodotto eccesivi danni nervosi, si risolverà entro un certo tempo (3-6-12 mesi).

 

 

Ipotesi della vasocostrizione da ipertono simpatico

 

Secondo Colding [1969], la ganglioradicolite provoca un input anomalo sul corno dorsale del midollo e il conseguente ipertono simpatico produce una vasocostrizione isosegmentale responsabile di ischemia, ipossia e lisi cellulare. A sua volta, il dolore così prodotto manterrebbe l’input anomalo sul midollo e quindi l’ipertono simpatico responsabile, in circolo vizioso, della cronica attivazione dei nocicettori. Questa tesi che avvicina patogeneticamente la NPH alla CRPS-I secondo la teoria classica di Leriche [1939] e Livingston [1044] non è del tutto convicente mentre (senza considerare il circolo vizioso) è probabilmente valida la tesi che la vasocostrizione produca il danno ischemico delle fibre nervose [Winnie e Hartwell 1993, Makharita 2017] e accettabile la sequenza “flogosi -> ipertono simpatico -> vasocostrizione dei vasa nervorum -> danno ischemico del tessuto nervoso”.

 

 

Ipotesi dei “pacemaker ectopici”

 

Una più recente ipotesi per spiegare la patogenesi della NPH [Devor 2018] è quella dei “pacemaker ectopici” che si troverebbero nell’assone e nel GRD. Secondo questa teoria, si formerebbero lungo l’assone dei focolai (microneuromi e forse zone di demielinizzazione) dove diventa possibile l’attivazione ectopica della fibra sia a aseguito di stimoli localmente applicati che spontaneamente, a sua volta responsabile della produzione e del mantenimento dell’ipereccitabilità centrale.

I “pacemaker ectopici” nell’assone

E’ stato riscontrato che nella NPH sia ha perdita delle piccole fibre nell’epiderma e questa osservazione la avvicina dolore neuropatico da danno delle piccole fibre. Il danno delle piccole fibre potrebbe essere dovuto alla distruzione dei corpi cellulari nel ganglio ed alla conseguente degenerazione walleriana dei corrispondenti assoni oppure al fenomeno che Devor chiama “dying-back” che non dipenderebbe dalla distruzione delle cellule gangliari infettate ma da un loro “stress metabolico responsabile di una degenerazione parziale dell’assone. “Retraendosi” (per usare una parola di Devor) dal nocicettore, l’assone produrrebbe nella sua compagine i microneuromi che scaricano spontaneamente. L’ipereccitabilità quindi non sarebbe a carico dei nocicettori ma dei microneuromi che si formano nell’assone, prossimamente ai nocicettori.

 

I “pacemaker ectopici” nel GRD

Oltre l’elettrogenesi ectopica a livello assonale-distale, la tesi dei pacemaker ectopici considera anche una possibile elettrogenesi ectopica nel GRD. Storicamente il GRD è stato considerato una possibile sede di elettrogenesi ectopica nel dolore neuropatico da neuropatia assonale (assieme al neuroma) e addirittura pare che questa anomalia sia particolarmente sensibile agli anestetici locali giustificandone l’efficacia con la somministrazione sistemica. E’ stato persino ipotizzato che se è efficace la somministrazione sistemica di anestetici il danno è gangliare, altrimenti è nel neuroma.

 

La sensibilizzazione centrale

Nell’ipotesi dei pacemaker ectopici è rimarcato il ruolo della sensibilizzazione centrale indotta e mantenuta dalle afferenze provenienti dai focali di elettrogenesi ectopica nei microneuromi nei terminali delle fibre nervose e nelle cellule gangliari.

 

L’allodinia

Un altro elemento da considerare è l’allodinia: se consideriamo possibile un ruolo dei nocicettori, essa considerata C-mediata ma nella tesi di Devor non si può prescindere da un’allodinia Aβ-mediata da persistente ipereccitabilità centrale.

 

In definitiva secondo l’ipotesi patogenetica dei pacemaker ectopici, l’attenzione andrebbe spostata dal SNC al SNP: non si tratterebbe più di dolore da deafferentazione o centrale ma di dolore neuropatico periferico da attivazione di un’elettrogenesi ectopica nell’assone o nel GRD dove l’ipereccitabilità centrale (da aumentato input pseudo-nocicettivo) funzionerebbe come fattore aggravante. Ovviamente, questa veduta sposta le decisioni terapeutiche verso il controllo della disfunzione del primo neurone con misure come l’applicazione di cerotti medicati o la somministrazione continua di anestetico locale nel forame di coniugazione.

 

 

Ipotesi che (senza escludere le precedenti ma integrandole) si basa sulla sede del danno nervoso

 

Sembra evidente che nessuna delle ipotesi precedenti spiega da sola la complessa patogenesi della NPH. Tuttavia, riprendendo alcuni concetti di quelle ipotesi e collocandoli in una sequenza logica, si può pensare che la flogosi del ganglio induca l’ipertono simpatico e che questo, a sua volta, provochi la vasocostrizione e di conseguenza il danno ischemico del tessuto nervoso.

Introducendo ora il concetto della migrazione del virus per trasporto assonale dal ganglio sensitivo verso il nevrasse e verso la periferia fino alla cute, si può supporre che in ogni sede dove giunge, il virus provochi la flogosi che a sua volta avvia la successione “ipertono simpatico -> vasocostrizione -> danno ischemico del tessuto nervoso”. Le conseguenze di quest’ultimo sono diverse non solo a seconda della sua entità ma anche della sede dove si manifesta e quindi si possono avere il dolore da ipereccitabilità dei nocicettori, da neuropatia assonale, da demielinizzazione, da deafferentazione e centrale.

Da questo si comprende che (in accordo con Peng e Coll.[2017] quando sostengono che la NPH è sostenuta da molti fattori patogenetici contemporaneamente operanti) la NPH non è affatto un’unica entità patogenetica ma una realtà clinica dove sono possibili tutti i tipi patogenetici di dolore neuropatico, singolarmente o variamente rappresentati, provocando la diversa gravità del quadro clinico e probabilmente condizionando la prognosi che può essere quella di una malattia destinata a guarire in qualche mese o a durare per sempre.

Le conoscenze più significative sulla patogenesi della NPH derivano dai riscontri anatomici su 5 pazienti deceduti per patologie intercorrenti e sottoposti ad esame autoptico [Watson et al.1991]. Tra questi soggetti, tre erano affetti da NPH al decesso e due avevano avuto un HZ rispettivamente 2 e 3 mesi prima.

 

Figura 1 - Atrofia del corno dorsale del midollo (da Watson et al.1991)

 

 

Riferendoci ai 3 casi di NPH, questo studio ha evidenziato: 1) la perdita di assoni e mielina nel nervo periferico distalmente al ganglio (NPH da neuropatia assonale e da demielinizzazione); 2) la perdita di corpi cellulari, assoni e mielina sostituiti da tessuto fibroso nel ganglio (MPH da deafferentazione); 3) la perdita di assoni e mielina nella radice dorsale (NPH da deafferentazione); 4) la marcata atrofia nel corno dorsale del midollo spinale (Figura 1). Inoltre, in un caso sono stati riscontrati infiltrati linfocitari ad impronta flogistica nel ganglio e nella radice dorsale che potrebbero essere stati responsabili di una NPH su base infiammatoria cronica che non corrisponde al danno nervoso ma potrebbe esserne la causa.

Da quanto precede si evince che nella NPH il danno nervoso iniziale risiede nel ganglio spinale o cranico (ganglio di Gasser, ganglio petroso di Andersch, ganglio genicolato) dove si verifica la riattivazione del virus varicella-zoster e la sua proliferazione ed è da questa sede che parte la sua migrazione per trasporto assonale nel dendrite verso il nevrasse e nel neurite verso la cute (Figure 2 e 3).

 

Figura 2 - La migrazione centrifuga e centripeta del virus e i conseguenti tipi patogenetici di NPH

 

 

La proliferazione del virus nel ganglio spinale o cranico comporta che le prime strutture nervose ad essere danneggiate siano i corpi cellulari con un danno che causa la deafferentazione del 2°neurone (NPH da deafferentazione o del III tipo).

La migrazione centrifuga del virus verso la cute provoca, oltre al transitorio danno cutaneo che si esprime con la tipica eruzione herpetica della fase acuta (caratterizzata da un “normale” dolore tessutale), il danno dei nervi periferici che può comportare l’interruzione della fibra nervosa (NPH da neuropatia assonale o del II tipo A) e la demielinizzazione delle fibre Aα, e Aδ con conseguente incorporazione di neoformati canali ioni per il Na ed avvio del dolore da demielinizzazione (NPH da demielinizzazione o del II tipo B) tipicamente parossistico e infine il danno dei nocicettori cutanei (NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori o del I tipo).

 

 

Figura 3 - La migrazione centrifuga e centripeta del virus nel trigemino e i conseguenti tipi patogenetici di NPH

 

 

La più pericolosa migrazione centripeta del virus verso il nevrasse comporta, oltre il danno della radice dorsale responsabile della NPH da deafferentazione, anche un potenziale danno nervoso centrale che può estendersi longitudinalmente coinvolgendo i segmenti vicini sopra e sottostanti (NPH centrale o del IV tipo con deficit sensitivo severo perché interessa più segmenti spinali limitrofi).

 

Considerazioni sulla NPH del IV tipo

La NPH del IV tipo o da lesione centrale merita alcune considerazioni particolari. La distruzione delle cellule del corno dorsale del midollo spinale estesa a più metameri confinanti:

1) giustifica il grave deficit sensitivo (che non è analgesia ma “anestesia” perché la lesione centrale non interessa solo le cellule di origine del secondo neurone nocicettivo ma anche le fibre Aβ che decorrono medialmente al corno dorsale del midollo spinale per entrare nella DREZ);

2) non provoca il dolore centrale e neppure l’allodinia.

A questo proposito, si deve ricordare la fisiopatologia del dolore centrale. La lesione anatomica che produce il dolore centrale è quella “isolata” del fascio neo-spinotalamico e delle sue proiezioni nei nuclei VPM-VPL del talamo che, deafferentando” i nuclei VPM-VPL che normalmente attivano il nucleo RT, rimuove l’inibizione GABA-ergica esercitata dal nucleo RT sul nucleo DM e sugli stessi nuclei VPM-VPL (Figura 4) con conseguente aumento (o semplicemente prevalenza) dell’attività glutamatergica del fascio paleo-spinotalamico e del Sistema Ascendente Multisinaptico (SAM).

 

Figura 4 - Fisiopatologia del dolore centrale. VPM = nucleo Ventro-postero-mediale; VPL = nucleo Ventro-postero-laterale; RT = nucleo Reticolo-talamico; DM = nucleo Dorso-mediano; Pf = nucleo Parafascicolare; CM = nucleo Centro-mediano; n-ST = fascio neo-spino-talamico; p-ST = fascio paleo-spino-talamico

 

 

Ben diverso è il danno anatomico nella NPH con lesione centrale perché essa, lungi dal coinvolgere direttamente il fascio neo-spinotalamico, comporta nel corno dorsale del midollo spinale il danno delle cellule di origine del fascio neo-spinotalamico, del fascio paleo-spinotalamico e del SAM (come la DREZ-lesion). Per inciso, ricordiamo che la Cordotomia Cervicale Percutanea che comporta la lesione dei fasci neo- e paleo-spinotalamico ma non del SAM controlla il dolore nocicettivo ma non quello neuropatico, mentre la DREZ-lesion che comporta anche la distruzione delle cellule di origine del SAM controlla il dolore neuropatico.

Per prodursi un dolore centrale occorrerebbe che l’atrofia cellulare nel corno dorsale del midollo spinale (Figura 1) si associasse alla sensibilizzazione degli WDR‑n e che questi fossero eccitati dalle afferenze Aβ attivate dagli stimoli tattili (producendo l’allodinia dinamica): però è inverosimile che se c’è un danno così rilevante del corno dorsale del midollo spinale non vi sia anche un danno della radice dorsale. In altre parole, è inverosimile che la lesione centrale sia l’unica presente ed è più credibile che, concomitando la lesione radicolare responsabile della NPH da deafferentazione e la lesione centrale, quest’ultima attenui il dolore da deafferentazione comportandosi come la DREZ-lesion e che il riscontro obiettivo sia anestesia senza allodinia.

In altri termini, quella che sembra essere l’espressione più grave della NPH potrebbe invece rappresentare una sua evoluzione favorevole che non esiste come unico tipo patogenetico ma invariabilmente associata al danno ganglio-radicolare che provoca la NPH del III tipo (da deafferentazione).

Un elemento che sembra confutare queste affermazioni deriva dal lavoro di Watson e Coll. [1991] dove in una serie di riscontri autoptici si rileva l’atrofia del corno dorsale del midollo spinale estesa per 4 segmenti nonostante il coinvolgimento di un solo ganglio, in pazienti con dolore da NPH da lesione evidentemente centrale (Figura 1). A questo proposito, si può pensare che la persistenza del dolore in questi pazienti fosse dovuta alla concomitante deafferentazione provocata dal danno ganglio-radicolare e che la lesione centrale non fosse sufficientemente estesa per controllarlo.

 

Perché alcune NPH guariscono ed altre no

Circa la ragione per la quale alcune NPH si risolvono (anche spontaneamente) in 3-12 mesi ed altre non si risolvono affatto, l’affermazione che la remissione della flogosi determina l’abolizione dei focolai di elettrogenesi ectopica [Devor 2018] spiega la remissione delle NPH sostenute dal danno periferico (recettoriale o assonale) ma per avere un quadro più completo, ragioniamo sulla possibilità di remissione (spontanea) del dolore neuropatico in generale. Chiaramente non c’è remissione del dolore nello stump pain provocato da un danno assonale a carico di tutte le fibre nervose di tutti i nervi periferici dell’arto amputato mentre può esserci nella radicolopatia lombosacrale che comporta un danno assonale circoscritto a un numero limitato di fibre nervose nell’ambito del nervo radicolare coinvolto (Figura 9), nella Nevralgia del trigemino provocata da focolai di demielinizzazione e nel dolore da ipereccitabilità dei nocicettori. Da quanto sopra, si deduce che la remissione del dolore neuropatico è possibile in alcuni tipi patogenetici e non in altri a seconda dell’entità del danno anatomico. Applicando questa regola alla NPH si può pensare che la remissione è possibile a seconda del tipo prevalente di danno neuropatico che la sostiene e dell’entità di quel danno. La NPH può recedere in qualche mese se è sostenuta dal danno recettoriale (NPH del I tipo), dal danno assonale o dal danno della mielina (NPH del II tipo) ma non recede se è sostenuta dalla deafferentazione (NPH del III tipo).

 

 

Considerazioni diagnostiche

 

Clinicamente, per distinguere nella NPH i diversi tipi patogenetici, possiamo fare riferimento alla distribuzione topografica del dolore, alla presenta e al tipo del deficit sensitivo, alla presenza o meno dell’allodinia (Tabella 1), al carattere dell’andamento dell’intensità del dolore e infine alla durata nel tempo della sintomatologia in relazione alla possibile persistenza della flogosi.

 

 

 

NPH

Criteri diagnostici differenziali

Distribuzione del dolore

Deficit sensitivo

Allodinia

(I Tipo) da persistente ipereccitabilità dei nocicettori

 

Locale (Periferica)

 

Assente

 

Si

 

 

 

 

 

(II Tipo A) da neuropatia assonale (1)

Metamerica

 

Periferica

Assente (2),

Ipoestesia tattile e Ipoalgesia (3), Anestesia (4)

 

 

 

 

Metamerica

 

Si

(II Tipo B) da demielinizzazione (1)

 

Assente (5)

 

 

Periferica

 

 

 

 

 

 

 

 

Assente (6)

 

(III Tipo) da deafferentazione

Metamerica

 

No

 

 

Anestesia (7)

 

 

 

 

 

(IV Tipo) con lesione centrale

Pluri-metamerica

Anestesia (8)

No

 

Tabella 1 – Indagini cliniche sui pazienti con sospetta NPH. (1) accertare se il dolore è uniforme (nella NPH da neuropatia assonale) o parossistico (nella NPH da demielinizzazione); (2) lesione nel nervo radicolare nei nervi spinali; (3) lesione di un numero limitato di fibre nervose, (4) lesione della maggior parte delle fibre nervose; (5) perché non è interrotta la conduzione assonale; (6) lesione nella radice dorsale dei nervi spinali;(7) lesione nella radice retrogasseriana; (8) per lesione delle fibre Aβ nel decorso lungo il corno dorsale per entrare nel cordone posteriore ipsilaterale

 

 

Distribuzione topografica del dolore

 

Il primo rilevamento clinico è quello della distribuzione topografica del dolore che può essere ti tipo locale, metamerica, periferica o plurimetamerica.

 

Distribuzione locale

Per “distribuzione locale” s’intende un’area che ricalca la distribuzione della lesione tessutale.

La distribuzione topografica del dolore è locale (un’area cutanea limitatamente estesa e di forma irregolare) nella NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori (Figura 6 B e C).

 

 

Distribuzione metamerica e periferica

Per “distribuzione metamerica” s’intende un’area che corrisponde al campo recettoriale periferico di una radice dorsale (l’insieme dei dendriti che dal ganglio vanno al nevrasse) o di un nervo radicolare (l’insieme degli assoni che partendo dal ganglio vanno a costituire i nervi periferici) e per “distribuzione periferica” l’area che corrisponde al campo recettoriale di un nervo periferico.

La migrazione centripeta del virus lungo le fibre nervose comporta che tutte quelle coinvolte appartengano allo stesso metamero e quindi la distribuzione del dolore dovuto alla loro patologia è metamerica (NPH da deafferentazione: Figura 6 A).

 

Figura 5

 

Invece, a seguito della migrazione centrifuga del virus si ha che:

1) nel caso dei nervi intercostali le fibre nervose del nervo radicolare si separano per costituire i nervi cutaneo anteriore e laterale dove, a loro volta, si separano ulteriormente per costituire i rami posteriore ed anteriore (Figura 5). Da questo deriva che la distribuzione del dolore (NPH da neuropatia assonale e da demielinizzazione) è “metamerica” se sono contemporaneamente coinvolte le fibre che costituiscono i nervi cutaneo anteriore e laterale (Figura 6-A) mentre se sono coinvolte soltanto le fibre che costituiscono il ramo posteriore o il ramo anteriore del nervo cutaneo laterale (Figura 6-B) o l’intero nervo cutaneo anteriore (Figura 6-C), la distribuzione del dolore è “periferica” e praticamente indistinguibile da quella “locale”.

 

Figura 6 - A: dolore con distribuzione metamerica; B e C: dolore con distribuzione periferica o locale


Figura 7 -

 

2) nel caso dei nervi derivati dai plessi brachiale e lombosacrale, le fibre nervose del nervo radicolare si separano per costituire i nervi che emergeranno da questi plessi e quindi (provocando in ogni caso la NPH da neuropatia assonale o da demielinizzazione), se il danno è nel nervo radicolare la distribuzione del dolore è “metamerica” e se è a carico di uno dei nervi emersi dal plesso è “periferica” come ad esempio nell’interessamento del nervo

cutaneo mediale dell’avambraccio (Figura 7).

 

3) nel caso del trigemino, il gruppo di fibre nervose del nervo radicolare (una branca trigeminale) si separa per costituire i nervi periferici. Provocando in ogni caso la NPH da neuropatia assonale o da demielinizzazione, se il danno è nella branca trigeminale la distribuzione del dolore è “metamerica” e se è a carico di uno dei nervi che emergono da essa (sopraorbitario, infraorbitario e mentoniero) è “periferica”.

 

Distribuzione plurimetamerica

Per “distribuzione plurimetamerica” s’intende la somma delle aree corrispondenti ai campi recettoriali periferici di più radici dorsali limitrofe: si ha nella NPH Centrale (Figura 8).

 

Figura 8 - NPH Centrale

 

In sintesi, riscontrando la distribuzione locale, si deve pensare alla NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori, riscontrando la distribuzione metamerica alla NPH da neuropatia assonale e da demielinizzazione o alla NPH da deafferentazione, riscontrando la distribuzione periferica alla NPH da neuropatia assonale e da demielinizzazione e riscontrando la distribuzione plurimetamerica alla NPH centrale.

 

 

Deficit sensitivo

 

Il deficit sensitivo è Assente nella NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori, nella NPH da demielinizzazione (perché non è interrotta la conduzione assonale), nella NPH da neuropatia assonale da lesione nel nervo radicolare nel caso dei nervi spinali e nella NPH da deafferentazione da lesione nella radice dorsale dei nervi spinali perché i nervi illesi sopra e sottostanti provvedono a raccogliere le informazioni dal territorio di quello danneggiato.

Si riscontra Ipoestesia tattile e Ipoalgesia nella NPH da neuropatia assonale se la lesione del nervo periferico interessa un limitato numero di fibre nervose (A nella Figura 9) e si riscontra Anestesia nella NPH da neuropatia assonale se la lesione del nervo periferico interessa la maggior parte delle fibre nervose (B nella Figura 9), nella NPH da deafferentazione trigeminale dove ogni porzione della radice retrogasseriana si collega ad un unico territorio facciale senza sovrapposizioni e nella NPH centrale perché sono coinvolti simultaneamente numerosi metameri limitrofi.

 

Figura 9 - A: ipoestesia tattile e ipoalgesia; B: anestesia [Orlandini 2020]

 

Allodinia

 

Particolarmente importante è lo studio dell’allodinia perchè è presente in ogni caso con l’eccezione della NPH da deafferentazione e centrale.

Nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori l’allodinia dipende dall’anomala eccitabilità recettoriale ed è C-mediata.

Nella NPH da neuropatia assonale l’allodinia (Aβ-mediata) dipende dalla patologia eccitazione del secondo neurone ad opera delle fibre Aβ. Sappiamo che due settimane dopo la sezione dei neuriti si riducono la sostanza P, la colecistochinina e la somatostatina nel terminale centrale dell’afferente primario e che in alcuni nervi la sezione delle fibre distalmente al ganglio produce la degenerazione delle cellule gangliari e dei dendriti [Wall 1983]. La degenerazione transganglionare riguarda le fibre C ed è più importante nelle lesioni del trigemino (persino dopo una banale avulsione dentaria) e meno nelle lesioni dei nervi spinali. A seguito della degenerazione transganglionare vengono interrotti alcuni collegamenti sinaptici nel corno dorsale del midollo. Per riparare il danno, i fattori di crescita prodotti nel ganglio e trasportati lungo i dendriti stimolano sia la ricostruzione e l’allungamento dei terminali centrali danneggiati, sia la crescita di nuovi terminali a partire dai dendriti vicini illesi, conducendo alla produzione di nuovi contatti sinaptici (central sprouting). La proliferazione dendritica riguarda le afferenze Aβ che prendono contatto con le cellule della lamina II che normalmente ricevono l’input delle fibre C. Questa riorganizzazione strutturale della DREZ fa si che il secondo neurone non sia più attivato dalle fibre C ma lo sia ancora dalle fibre Aδ (con produzione di dolore a rapida conduzione) ed ora, anormalmente, dalle fibre Ab tattili e Aα propriocettive [Woolf et al. 1992, Woolf 1993], producendosi l’allodinia superficiale meccanica dinamica

Nella NPH da demielinizzazione, l’allodinia dinamica (Aβ-mediata) dipende dallo stesso meccanismo che la produce nella Nevralgia del trigemino dove lo stimolo tattile che attiva le fibre Aβ provoca la depolarizzazione presinaptica delle fibre C inducendone la scarica massiva e il dolore parossistico [Calvin, Loeser e Howe 1977].

Nella NPH da deafferentazione non c’è allodinia perché mancano le fibre Aβ. E’ verosimile che nel dolore da deafferentazione non ci sia l’allodinia perché, se ci fosse, dovrebbe essere Aβ mediata, dato che non ci sono ragioni perché sia C mediata. Però, se c’è l’attività delle fibre Aβ, può esserci la deafferentazione ma non il dolore da deafferentazione e se c’è il dolore da deafferentazione vuol dire che non si ha l’attività delle fibre Aβ.

Nella NPH da lesione centrale non c’è allodinia perché non ci sono afferenze C o Aβ in grado di provocarla.

 

 

Criterio del carattere dell’andamento dell’intensità del dolore

 

Particolarmente in riferimento alla NPH da neuropatia assonale-demielinizzazione, come criterio diagnostico aggiuntivo, va considerato anche quello dell’andamento dell’intensità del dolore che è sempre “uniforme” tranne che nella NPH da demielinizzazione dove è “parossistico” (come nella Nevralgia del trigemino).

 

 

Criterio della durata nel tempo della sintomatologia

 

Questo criterio è importante se si tiene presente che, sebbene sia il danno nervoso a provocare la NPH, a monte di questo e come sua causa (soprattutto nell’HZ ma in molti casi e per molti mesi anche nella NPH) vi è una condizione infiammatoria. Quindi, nelle fasi iniziali della NPH è opportuno un energico trattamento antinfiammatorio che può limitare la gravità del danno nervoso.

 

Considerazioni terapeutiche

 

Conviene trattare separatamente la prevenzione dell’HZ, la terapia dell’HZ e la prevenzione della NPH e la terapia della NPH.

 

 

prevenzione dell’Herpes Zoster

 

La prevenzione dell’HZ può essere attuata soltanto con la vaccinazione. Vi sono due tipi di vaccino anti-Zoster: uno è costituito di cellule virali attenuate ("zoster vaccine") ed è commercializzato come “Zostavax” [Robinson e Perry 2006, Gilden 2011, Arnold e Messaoudi 2017] e un altro (“vaccino ricombinato”) contiene un antigene del virus assieme ad un adiuvante che si chiama ASO1B (sic) ed è commercializzato come “Shingrix”.

Notare che è stato ripetutamente segnalato che lo “zoster vaccine” è controindicato nei soggetti immunodepressi [Arnold e Messaoudi 2017], cioè in quelli che ne hanno più bisogno, mentre lo Shingrix non avrebbe questa controindicazione [Singh et al.2020].

Circa l’efficacia, da uno dei primi studi [Oxman et al.2005] che includeva 38546 soggetti di età maggiore di 60 anni sottoposti a random alla vaccinazione con lo "zoster vaccine" o al placebo risulta che in un periodo di osservazione medio di 3 anni 957 contrassero l’HZ (315 tra i vaccinati e 642 tra i non vaccinati) e 107 contrassero la NPH (27 tra i vaccinati e 80 tra i non vaccinati): in pratica la vaccinazione avrebbe ridotto del 51% l’incidenza dell’HZ e del 66% quella della NPH. Questi dati sono stati confermati in seguito da Arnold e Messaoudi [2017] e poi da Klein e Coll. [2019] affermando che l’efficacia dello "zoster vaccine" era del 65% con una “moderata” efficacia per 8 anni.

Studi successivi hanno evidenziato risultati anche migliori, infatti secondo Cunningham e Coll. [2016], il “vaccino ricombinato” ridurrebbe la possibilità di contrarre l’HZ del 91% e di contrattare la NPH dell’88% e secondo Izurieta e Coll. [2021], somministrato in 2 dosi a distanza di 2-6 mesi darebbe una protezione del 70% per almeno 4 anni. Come effetti avversi sono segnalati reazioni cutanee nel sito di inoculazione, mialgia e affaticamento lievi e transitori. Inoltre, Shingrix non sarebbe controindicato nei soggetti immunodepressi e sotto questo è preferibile al vaccino con virus HZ attenuato [Warren-Gash et al.2018].

Da una recente revisione della letteratura [Mbinta et al.2022] che analizza 22 studi che complessivamente includono 9.536.086 soggetti risulta che l’efficacia nella prevenzione dell’HZ sarebbe del 45% per lo “zoster vaccine” e del 79% per il “vaccino ricombinato”. In definitiva, la vaccinazione riduce significativamente l’incidenza dell’HZ e quindi della NPH.

 

 

TERAPIA dell’Herpes Zoster E prevenzione della Nevralgia Post Herpetica

 

Ad eccezione di rare situazioni evidentemente poco gravi specie in soggetti giovani dov’è sufficiente il trattamento antivirale con aciclovir (Zovirax cp 400-800 mg, 1cp/6 ore per 7 giorni) associato alla terapia antalgica per via sistemica con FANS ed oppiacei minori come il tramadolo (Contramal che si può usare in gt da 2.5 mg da somministrare in ragione di 20 gt/8 ore pari a 225 mg/giorno o in cp da 100-200 mg da somministrare ogni 12 ore) e il tapentadolo (Palexia cp da 100-150-200-250 mg da somministrare ogni 12 ore), in tutti gli altri casi la terapia dell’HZ coincide con la prevenzione della NPH.

 

 

Proposte fantasiose e spesso poco o per nulla motivate (da leggere solo per curiosità)

 

Senza tentare di correlare i trattamenti con i possibili fattori patogenetici, esaminati 39 studi sull’argomento, Kim e Coll.[2021] giunsero alle generiche conclusioni che a 3 mesi dall’esordio della fase acuta il blocco peridurale continuo con anestetici locali e steroidi, l’iniezione sottocutanea di anestetici locali e steroidi ed il blocco paravertebrale, associati alla somministrazione di antivirali ed antiepilettici sono efficaci nella prevenzione della NPH. Un’altra revisione della letteratura era giunta a simili generiche conclusioni esaminando 62 studi, dei quali 31 randomizzati e controllati [Hempenstall et al.2005].

Considerando le pubblicazioni recenti, da uno studio emerge la proposta di un generico e immotivato trattamento con triciclici, anticonvulsivi e analgesici [Levin et al.2010], un altro studio [Lee et al.2016] sostiene che un basso dosaggio di Gabapentin (300 mg x 3 al dì) somministrato durante la fase acuta dell’HZ non previene la NPH mentre un altro [Rullan et al.2017] afferma che la previene contrastando l’ipereccitabilità centrale.

A dimostrazione dell’efficacia nella prevenzione della NPH, uno studio [Cui et al.2017] evidenzia che in pazienti affetti da HZ fu instaurato un trattamento con ripetute infiltrazioni sottocutanee di anestetico locale e steroidi e in un gruppo di controllo soltanto una terapia standard con antivirali e analgesici: dopo 1 mese avevano ancora dolore il 12,8% dei pazienti del gruppo trattato con le infiltrazioni e il 47% degli altri.

Nello studio di Ni e Coll.[2017] che considera 100 pazienti con HZ acuto (meno di una settimana) dove si rilevava una VAS media di 7, si confronta l’efficacia nella prevenzione della NPH del trattamento con soli antivirali ed analgesici o con antivirali, analgesici e infiltrazione sottocutanea di triamcinolone e lidocaina: a 3 mesi dal trattamento, la VAS era ancora >3 nel 20% dei pazienti trattati con antivirali e analgesici e nel 4% dei pazienti trattati con antivirali, analgesici e infiltrazione sottocutanea di triamcinolone e lidocaina.

Confrontando il risultato ottenuto con la somministrazione sottocutanea di ropivacaina e metilprednisolone o soluzione fisiologica nella prima settimana dopo l’esordio dell’HZ, sei mesi dopo si aveva la NPH nel 6% dei casi trattati e nel 18% dei casi del gruppo di controllo [Cui et al.2018].

A dimostrazione della sua efficacia nella prevenzione della NPH, da uno studio dove si propone la SCS temporanea eseguita nei primi 7-14 giorni dall’esordio dell’HZ risulta che dopo 12 mesi 1 su 40 dei pazienti con HZ in fase acuta (2,5%), 4 su 25 dei pazienti con HZ in fase subacuta (16%) e 10 su 16 pazienti di quelli con NPH (62%) avevano ancora dolore [Huang et al.2020].

 

 

Razionalizzazione della terapia dell’HZ e della prevenzione della NPH

 

Salvo i casi dove il dolore è particolarmente severo e (purtroppo limitatamente all’HZ a carico dei nervi spinali) può essere opportuna la somministrazione peridurale continua (tramite pompa elastomerica) di 5 mg/die di morfina protratta per 10-15 giorni, la cura dell’HZ e la prevenzione della NPH vanno attuate cercando di eliminare il virus con i farmaci antivirali e contrastandone gli effetti neurotossici (Tabella 2).

Circa gli antivirali, Herbort e Coll. [1991] affermarono che alte dosi di aciclovir prevengono la NPH trigeminale a carico della I branca e che questo trattamento segna la fine dell’era dei corticosteroidi! Al contrario, secondo una revisione della letteratura [Chen et al.2014], l’aciclovir e il famciclovir non riducono significativamente l’incidenza della NPH.

Il contrasto degli effetti neurotossici del virus può essere ottenuto: 1) controllando il vasospasmo riflesso dei vasa nervorum e quindi il danno ischemico delle fibre nervose; 2) controllando la flogosi con un trattamento antiflogistico mirato; 3) forse controllando il trasporto assonale del virus dal ganglio alla periferia e al nevrasse.

 

 

Terapia dell’HZ e prevenzione della NPH

Eliminazione del virus

 

Farmaci antivirali

 

 

 

 

 

 

 

Controllo degli effetti neurotossici del virus

Contrasto del vasospasmo riflesso dei vasa nervorum e quindi del danno ischemico delle fibre nervose

 

Blocco del ganglio stellato

 

Blocco-infiltrazione peridurale con 2 ml di metilprednisolone (80 mg) e 5 ml di bupivacaina 0,5%

 

Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser con 1 ml di metilprednisolone (40 mg) e 2 ml di bupivacaina 0,5%

 

Contrasto della flogosi con il trattamento antiflogistico mirato

 

(Forse) Blocco del trasporto assonale del virus dal ganglio alla periferia e al nevrasse

 

Tabella 2 - Notare che quando si esegue l’infiltrazione peridurale con anestetico locale e steroide, si attuano contemporaneamente il blocco del simpatico, il trattamento antiflogistico mirato e (forse) il blocco del trasporto assonale del virus.

 

 

contrasto degli effetti neurotossici del virus mediante il controllo del vasospasmo riflesso dei vasa nervorum

Il controllo del vasospasmo riflesso dei vasa nervorum serve per prevenire il danno ischemico del tessuto nervoso e può essere perseguito direttamente con il blocco del simpatico (blocco del ganglio stellato) o, contestualmente al blocco delle afferenze, con il blocco peridurale con anestetico locale.

Dati della letteratura

Secondo Colding [1969] che ne fu il promotore storico, sulla base dell’esperienza su 243 pazienti con HZ, il blocco del simpatico è efficace nel prevenire la NPH se eseguito molto precocemente mentre non ha alcuna efficacia nella cura della NPH.

L’esperienza di Colding fu confermata da Bauman [1979] che trattò 38 pazienti affetti da HZ da 8 giorni a 3 mesi con il blocco del ganglio stellato (10 ml di bupivacaina 0,25% ) o il blocco peridurale (5-8 ml di bupivacaina 0,25%, quindi confidando sull’effetto di blocco simpatico). Ad un follow-up di 6-30 mesi, ottennero un completo controllo del dolore tutti i pazienti trattati entro le 4 settimane e nessuno di quelli trattati più tardi.

Dan e Coll.[1985] trattarono con blocco peridurale (con mepivacaina 1%) 700 pazienti affetti da HZ e 300 con NPH e ottennero un risultato completo (prevenendo la NPH) nell’88% dei 467 pazienti trattati entro le due settimane, un risultato parziale nei 96 pazienti trattati entro un mese e nessun risultato in quelli trattati più tardi, confermando le conclusioni di Colding [1969].

Tenicela e Coll.[1985] trattarono 10 pazienti con blocco del simpatico e 10 con placebo ottenendo il pain relief nel 90% dei primi e nel 20 % degli altri.

Winnie [1994] esaminato il risultato su 122 pazienti trattati con blocco del simpatico riscontrò che nell’80% di quelli trattati entro 2 mesi si era prevenuta la NPH mentre i risultati in quelli trattati più tardi erano insoddisfacenti.

Particolarmente interessante è il lavoro di Winnie e Hartwell [1993] dove si afferma che il blocco del simpatico è efficace nel risolvere il dolore dell’HZ e nel prevenire la NPH se è eseguito entro 2 mesi dall’esordio della malattia perchè ripristina il flusso sanguigno intraneurale prevenendo il danno ischemico delle fibre nervose: se invece il blocco è eseguito più tardi è inutile perchè il danno nervoso è ormai irreversibile.

Meno entusiasmanti sono le osservazioni di Wu e Coll.[2000] che sostennero che il blocco simpatico riduce la durata del dolore della fase acuta dell’herpes zoster ma non è chiaro se previene la NPH e di Yanagita e Coll.[1987] che, dopo aver trattato 49 pazienti (in qualche caso addirittura prima della comparsa dell’HZ sulla base di un sospetto clinico e comunque entro i primi 10 giorni dopo l’eruzione cutanea) con blocco del ganglio stellato ripetuto quotidianamente per 4 settimane o con blocco peridurale, riscontrarono che non vi era nessun risultato per quel che riguarda la prevenzione della NPH.

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Il blocco del simpatico può prevenire la NPH sul presupposto che ripristini il flusso sanguigno intraneurale prevenendo il danno ischemico delle fibre nervose a condizione che sia eseguito precocemente (per i più ottimisti entro 2 mesi [Winnie e Hartwell 1993] ma probabilmente meglio entro 2 settimane): se il blocco è eseguito più tardi, è inutile perchè il danno nervoso è ormai irreversibile e non ha alcuna efficacia nella cura della NPH.

 

contrasto degli effetti neurotossici del virus mediante il Trattamento antiflogistico mirato

Il trattamento antiflogistico mirato consiste nel: 1) Blocco-infiltrazione peridurale segmentaria con 2 ml di metilprednisolone (80 mg) e 5 ml di bupivacaina allo 0,5% per “bagnare” la radice bersaglio e quelle immediatamente sopra e sottostanti, ripetuto dopo 2 settimane; 2) Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser con 1 ml di metilprednisolone (40 milligrammi) e 2 ml di anestetico locale (bupivacaina 0,5%), secondo lo schema proposto da Pernak e Erdmann [1994] modificato per l’aggiunta della bupivacaina.

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Non è necessario e neppure conveniente che il blocco peridurale sia selettivo per una singola radice ed anzi è bene che il volume della soluzione sia relativamente elevato. La tecnica corretta è quella del blocco peridurale segmentario impiegando un discreto volume di soluzione anestetico-steroidea per “bagnare” la radice bersaglio e quelle immediatamente sopra e sottostanti.

L’efficacia del Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser con metilprednisolone per la prevenzione della NPH trigeminale fu fortemente sostenuta da Pernak e Erdmann [1994] che trattarono 535 pazienti affetti da HZ trigeminale iniettando 80 mg di metilprednisolone (Depomedrol) nel ganglio di Gasser. A un mese dal trattamento erano senza dolore e senza supporto analgesico il 96,5% dei pazienti trattati: vi furono solo 19/535 insuccessi (3,5%) che riguardano pazienti trattati dopo la seconda settimana dall’insorgenza dell’HZ. Sulla base di questi risultati, Pernak e Erdmann raccomandarono di eseguire l’infiltrazione del ganglio di Gasser con metilprednisolone nelle prime due settimane. Notare anche che Pernak e Erdmann non usarono l’anestetico locale, facendo affidamento soltanto sull’effetto antinfiammatorio volto a prevenire il secondario danno nervoso.

Non è chiaro se Pernak e Erdmann [1994] eseguirono l’infiltrazione del ganglio di Gasser con metilprednisolone nella cisterna trigeminale o lateralmente al ganglio di Gasser. A questo proposito, alcuni anni fa [Orlandini 2011] scrivevo “…per eseguire nella cura del dolore da herpes zoster trigeminale e, per quel che può valere, nella profilassi della nevralgia post-herpetica un trattamento analogo a quello praticato a livello spinale con il blocco peridurale segmentarlo, a livello trigeminale non si deve raggiungere la cisterna: in questo modo si effettuerebbe una sconsigliabile somministrazione subaracnoidea di steroide. Occorre, invece, somministrare la soluzione anestetico-steroidea nello spazio extradurale anterolaterale al ganglio di Gasser…” con una procedura analoga (aggiungo ora) a quella impiegata nella Compressione percutanea del ganglio di Gasser. In pratica, introdotto l’ago nella guancia 1 centimetro lateralmente alla commissura labiale e appena sopra al suo piano orizzontale, lo si dirige verso il 1/3 esterno del forame ovale. Questo ingresso, molto diverso da quello necessario per raggiungere la cisterna trigeminale e la radice retrogasseriana, consente di dirigere l'ago secondo una traiettoria anterolaterale al ganglio di Gasser che ne favorisce il posizionamento extradurale. A questo punto, mentre per eseguire la Compressione percutanea del ganglio di Gasser si deve arrestare l’ago appena oltre l'ingresso nel forame ovale, nel caso della somministrazione anestetico-steroridea lo si avanza per 3-5 millimetri oltre il forame ovale.

 

contrasto degli effetti neurotossici del virus mediante il Blocco del trasporto assonale del virus (un argomento controverso)

 

Dati della letteratura

Il blocco peridurale e del ganglio di Gasser sono stati suggeriti come procedura per prevenire la NPH più per il concomitante blocco del simpatico e l’azione antiflogistica che per il blocco del trasporto assonale del virus.

La prima segnalazione sull’impiego del blocco peridurale sia a scopo antalgico che per prevenire la NPH è quella di Perkins e Hanlon [1978] che, trattati 12 pazienti affetti da HZ con bupivacaina e metilprednisolone per via peridurale, riscontrarono che il trattamento era stato efficace purché attuato entro le 7 settimane e non oltre i 3 mesi e, a sottolineare il ruolo chiave dell’anestetico locale, rimarcarono che l’aggiunta del metilprednisolone non aggiungeva nulla al risultato.

Molto espliciti a questo riguardo sono gli studi di Follini [1993] e Follini e Leccabue [1994] che trattarono con un singolo blocco peridurale selettivo, raramente ripetuto (associando all’anestetico locale un preparato steroideo deposito) 96 pazienti affetti da HZ e riscontrarono un’incidenza di NPH del 3,8% nei pazienti trattati entro le prime 2 settimane e, rispettivamente del 13 e del 33,3% in quelli trattati nella terza e nella quarta settimana. A conclusioni analoghe giunsero nel 1999 Hwang e Coll. Un contributo molto interessante e significativo è dato dal lavoro di Pasqualucci e Coll.[2000], i quali riscontrarono che dopo un anno avevano ancora dolore 51/230 pazienti (22,2%) trattati con acyclovir e steroidi per via venosa e 4/255 (1,6%) pazienti trattati con blocco peridurale anestetico-steroideo, concludendo che la somministrazione peridurale di anestetico locale e metilprednisolone è significativamente più efficace della somministrazione endovenosa di acyclovir e prednisolone nella prevenzione della NPH. Un’ulteriore conferma è data dal lavoro di Kumar et al.[2004] che, analizzando 21 studi sull’argomento, conclusero che v’era evidenza di grado A sul fatto che, eseguito entro 2 mesi dall’esordio dello zoster, il blocco peridurale con anestetici locali e steroidi riduce l’incidenza della NPH dopo un anno.

Poco entusiasmanti a questo riguardo sono invece i risultati di uno studio multicentrico denominato PINE che è l’abbreviazione di Prevention by epidural Injection of postherpetic Neuralgia in the Elderly [Opstelten et al.2004, VanWijck et al.2006, Opstelten et al.2006, Opstelten et al.2007]. Lo studio include 598 pazienti con HZ da meno di 7 giorni trattati con antivirali, analgesici ed una singola somministrazione peridurale di 80 mg di metilprednisolone e 10 mg di bupivacaina o, come controllo, con soli antivirali e analgesici: a 1 mese dal trattamento avevano dolore il 48% di quelli trattati con la peridurale ed il 58% di quelli del gruppo di controllo, a 3 mesi avevano dolore il 21% dei quelli trattati con la peridurale e il 24% di quelli del gruppo di controllo e a 6 mesi il 15% di quelli trattati con la peridurale e il 17% di quelli del gruppo di controllo. Ovviamente, gli Autori conclusero che il trattamento peridurale non è efficace nella prevenzione della NPH. Però, va osservato che gli Autori somministrarono assieme a 80 mg di metilprednisolone (2 ml) 10 mg di bupivacaina, vale a dire 2 ml: è possibile che il dosaggio di bupivacaina fosse insufficiente ad ottenere il blocco del trasporto assonale e che quindi l’unico effetto prevedibile fosse quello del metilprednisolone. In seguito, il ruolo del blocco peridurale nella prevenzione della NPH fu negato da Loeser [1990] e recentemente riconfermato da Kim e Coll.[2017].

Infine, ricordiamo che in recenti linee guida [Gross et al.2020] è raccomandato il blocco peridurale con anestetico locale e steroidi soprattutto nelle prime 3 settimane dall’esordio dell’HZ per prevenire la NPH e che tra gli studi recenti a sostegno di questa procedura figura anche quello di Beydoun e Coll.[2021].

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Per comprendere il razionale del blocco del trasporto assonale dobbiamo pensare che la diffusione del virus dal ganglio verso la cute e verso il nevrasse prosegua nelle due direzioni per parecchi giorni. E’ ovvio che quando si esprime l’eruzione cutanea perché una sufficiente quantità di particelle virali ha raggiunto la cute viaggiando lungo il neurite, una certa quantità di quelle particelle ha già raggiunto anche il nevrasse: quindi il blocco del trasporto assonale dovrebbe servire a impedire che altre di quelle particelle raggiungano il nevrasse o la periferia in aggiunta a quelle che vi sono già arrivate ed è per questo che l’infiltrazione ha significato solo nei primi giorni dopo la comparsa dell’eruzione herpetica. In teoria, il blocco peridurale o del ganglio di Gasser andrebbero eseguiti ancora prima della comparsa dell’eruzione cutanea ma questo è impossibile perché la diagnosi non è ancora stata fatta. Però, se si aspetta troppo, il virus ha ormai raggiungo il nevrasse e le diramazioni periferiche in quantità tali da essere inutile il blocco del trasporto assonale: quindi, con questi obiettivi in mente, si deve concludere che il blocco peridurale o del ganglio di Gasser vadano eseguiti il prima possibile, anche solo nel sospetto di HZ e che ogni giorno di attesa sia tempo concesso alla migrazione virale.

Non c’è dubbio che questo metodo di prevenzione della NPH sembri molto interessante ma v’è un’argomentazione che lo mette in dubbio: se veramente l’anestetico locale blocca il trasporto assonale del virus per molti giorni, potrebbe contemporaneamente bloccare anche il trasporto dei fattori trofici prodotti nel pirenoforo che servono a mantenere il trofismo cellulare e quindi potrebbe causare la degenerazione della fibra nervosa! In realtà, sappiamo che l’anestetico locale non ha effetti neurotossici.

Non trovando una risposta nella letteratura e quindi senza risolvere questo dubbio, ho considerato l’osservazione che la etidocaina (Duranest) ha la stessa potenza della tetracaina come bloccante della conduzione assonale ma 5 volte meno potente come bloccante del trasporto assonale e che la mepivacaina, la bupivacaina e la lidocaina sono ugualmente attive nel produrre il blocco della conduzione assonale e del trasporto assonale [Levoie et al.1982, Levoie 1983]. Inoltre, alla ricerca del meccanismo con cui gli anestetici bloccano il trasporto assonale rapido, Lavoie e Coll.[1989] affermarono che concentrazioni di 14-20 mM di lidocaina non producono la distruzione dei microtubuli e che quindi altri non specificati meccanismi devono essere in causa.

In questa incertezza sul meccanismo di azione, si tenga presente che nella pratica del blocco-infiltrazione peridurale o del ganglio di Gasser per la cura dell’HZ e la prevenzione della NPH non è mai stato usato solo l’anestetico locale ma sempre l’associazione anestetico locale e steroidi (Follini [1993], Follini e Leccabue [1994], Pasqualucci e Coll.[2000], Kumar et al.[2004], Gross et al.2020], Beydoun e Coll.[2021]) e da Pernak e Erdmann [1994] addirittura solo lo steroide. In definitiva, sembra una buona norma quella di associare in ogni caso lo steroide all’anestetico locale confidando sull’effetto antiflogistico ed “eventualmente” su quello del blocco del trasporto assonale.

 

 

terapia della Nevralgia Post Herpetica

 

Come scrivevo a proposito della CRPS-I [Orlandini 2020] “quanto meno si conosce di una patologia, tanto più aumentano le proposte terapeutiche. Nella Nevralgia del trigemino, le opzioni terapeutiche (per lo meno quelle corrette) sono poche perché patogeneticamente efficaci”: qui, invece, sono un numero enorme perché patogeneticamente poco correlate e spesso poco efficaci, senza contare lo spazio che questa approssimazione terapeutica lascia ai maghi e ai guaritori. Ancora oggi, a livello popolare è diffusa l’abitudine di affidarsi alla “segnatura” che consiste nel tracciare segni di croce sulla parte interessata “con la mano destra bagnata di acqua benedetta” o nell’applicarvi crocifissi…meglio se d'argento.

Lasciando da parte la medicina popolare, secondo Aggarwal e Coll.[2020] la scelta terapeutica dipende dalla zona coinvolta e può comprendere il blocco o la neurolisi dei nervi intercostali, il blocco del ganglio stellato, la neurolisi paravertebrale, l’iniezione di steroidi per via peridurale, l’ablazione a radiofrequenza del ganglio della radice dorsale e se tutto fallisce la SCS…ma…”in mani esperte”. In molti studi si consigliano genericamente e acriticamente il gabapentin, il pregabalin, la carbamazepina, l’amitriptilina, la norpriptilina, la doxepina, il tramadolo, il pach di lidocaina 5%, la capsaicina, il tramadolo ed…altri oppiacei [Thomas et al.2011, Gan et al.2013, Meng et al.2014, Hadley et al.2016, Saguil et al.2017, Shrestha e Chen 2018, Cao et al.2022, Kawai et al.2022]. Secondo un delirante studio di cui sconsiglio la lettura, sembra che, se impiegati singolarmente, la tossina botulinica sottocute e il trattamento a RF Pulsata siano i trattamenti più efficaci per la cura della NPH e che come terapie combinate la più efficace sia il trattamento a RF Pulsata associato al blocco nervoso e, a seguire, l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina associata al blocco nervoso e all’ozonoterapia [Wen et al.2020].

Non mancano i suggerimenti dedotti dalle revisioni della letteratura sull’argomento come quella di Lin e Coll.[2019] che in base all’analisi di una serie studi randomizzati e controllati dedussero tre confusamente omnicomprensive linee di trattamento in sequenza: 1) antidepressivi triciclici, pregabalin, gabapentin e cerotti di lidocaina; 2) tramadolo e capsaicina; 3) TENS, tossina botulinica, cobalamina, iniezioni di triamcinolone, metilprednisolone intratecale, midazolam intratecale, blocco del ganglio stellato, elettrostimolazione gangliare, distruzione del ganglio della radice dorsale, trattamento a RF Pulsata.

Particolarmente interessante è la recente linea guida elaborata da Gross e Coll. [2020] che pur non illustrando i meccanismi patogenetici della NPH, affronta molti aspetti clinici riguardati le diverse complicanze dell’infezione herpetica: la gravissima disseminazione sistemica del virus, la meningoencefalite, le complicanze oculari dell’interessamento trigeminale della I branca vale a dire la congiuntivite, la cheratite, l’uveite fino alla paralisi dell’oculomotore. In queste linee guida è caldamente raccomandata la diffusione della vaccinazione con lo Shingrix somministro in 2 dosi a distanza di 2 mesi che darebbe una protezione nei confronti dell’infezione herpetica nel 90% dei casi addirittura per 9 anni. Per quanto riguarda i suggerimenti terapeutici, nella fase acuta dell’HZ si raccomanda la somministrazione degli antivirali (Acyclovir per os o per via venosa per 10-14 giorni) e di analgesici per via sistemica (purtroppo) seguendo la scala terapeutica della OMS con l’aggiunta di antiepilettici (gabapentin e pregabalin) e antidepressivi (specie amitriptilina) “per combattere la componente neuropatica del dolore”. Se in queste linee guida la proposta terapia dell’HZ è piuttosto deludente, più interessanti sono i consigli a proposito della cura della NPH. In particolare, si afferma che i patches di lidocaina 5% non sono un trattamento di prima scelta mentre è fortemente raccomandato il blocco peridurale con anestetico locale e steroidi soprattutto nelle prime 3 settimane dall’esordio dell’HZ per prevenire la NPH.

Il problema è che tutti questi suggerimenti si basano sul presupposto che la NPH sia un’unica entità: quindi non sono diretti a contrastare ciascuno un determinato meccanismo patogenetico e la loro efficacia è “stranamente” variabile. Inoltre, si tenga presente che molti trattamenti possono sembrare efficaci perchè spesso la NPH guarisce spontaneamente. Tra le poche segnalazioni sull’opportunità di differenziare varie categorie di NPH vi sono le osservazioni di Fields, Rowbotham e Baron [1998] che sostenevano che la NPH poteva essere dovuta all’anormale sensibilizzazione delle fibre C (NPH da ipereccitabilità dei nocicettori), dal danno delle fibre C (NPH da neuropatia assonale) o dalla deafferentazione (NPH da deafferentazione) e più recentemente figura l’interessante approccio proposto da Forstenpointner e Coll.[2018] che, osservando che i pazienti affetti da NPH possono presentarsi con segni e sintomi differenti, suggerirono l’opportunità di una migliore “identificazione del fenotipo sensoriale” dei pazienti per decidere una terapia mirata.

Infine, per sottolineare quanto può essere fuorviante l’informazione che il pubblico ricava dalla “navigazione” in Internet, si legge che “…il virus del Fuoco di Sant’Antonio può essere limitato nelle sue manifestazioni grazie al vaccino che deve essere somministrato entro 72 ore dall’insorgenza dei sintomi (il rush cutaneo). In tal modo si può alleviare sia la gravità che la durata delle complicazioni, quale può essere la nevralgia post herpetica…che dev’essere curata con l’agopuntura”.

 

 

Proposte fantasiose e poco o per nulla motivate

 

Per dovere di cronaca, vediamo il lungo e noioso (ma volutamente parziale) elenco dei trattamenti (spesso discutibili o francamente assurdi) proposti per la cura della NPH.

Il primo posto spetta all’Agopuntura, anche se non è chiaro come essa (e le sue varianti, inclusa la trocar therapy che consiste nell’inserzione di una cannula sottocute per 24 ore [Zhang et al.2022], l’elettroagopuntura [Liu et al.2021], la moxibustione [Wu et al.2021] e la “Ju-Re-Ba-Du therapy” [Huang et al.2020]) possa essere efficace nella NPH e secondo uno studio [Wang et al.2018] non si può affermare con certezza che dia risultati superiori alla terapia farmacologica. Ciò nonostante, l’Agopuntura è stata ripetutamente proposta anche recentemente [Huang et al.2022, Bian et al.2022], sebbene, a inficiare non poco la sua utilità, sia stato affermato che l’Agopuntura “vera” non dà risultati superiori a quelli della “sham acupuncture” che consiste nell’inserire gli aghi in sedi casuali [Sollie et al.2022]. Quel che è più sconcertante è che nessuno si preoccupa di capire con quale meccanismo l’Agopuntura dovrebbe controllare la NPH.

Una certa popolarità godono la TENS e la terapia con campi elettromagnetici pulsanti [Eid 2022], la Laserterapia [Mukhtar et al.2020], la melatonina [Deng et al.2015], il Trattamento osteopatico manipolativo (Volokitin e Coll.[2021] sostengono che in un paziente con NPH trigeminale della I branca che “può persistere anche per 90 giorni…”, il trattamento osteopatico manipolativo “risolse completamente il dolore”), la Extracorporeal shockwave therapy [Lee et al.2020, Chen et al.2020 e 2022], il Blocco paravertebrale con anestetici locali e dexmedetomidina ripetuto 3 volte [Yang et al.2022], il Blocco dell’erettore spinale [Hacıbeyoğlu et al.2020], il Blocco del ganglio stellato (senza precisare quando va usato [Fan e Coll.[2022]), l’Infiltrazione sottocutanea di tossina botulinica [Apalla et al.2013, Shackleton et al.2016, Li et al.2020, Hu et al.2020], il trattamento con inibitori del NGF (anche se il Fulranumab è inefficace nella NPH [Wang et al.2017] e il trattamento topico con inibitori dei canali del sodio [Price et al.2017].

 

Termocoagulazione a RF del GRD e del ganglio di Gasser

Tra le proposte poco motivate, un’attenzione particolare meritano la Termocoagulazione a RF del GRD e del ganglio di Gasser per la cura della NPH non perché vanno suggerite ma perchè suggeriscono una serie di interessanti osservazioni.

Deve essere anticipato che c’è sempre stato un certo scetticismo nei confronti di queste procedure: riferendoci agli anni passati, tra le poche segnalazioni nella letteratura, troviamo la comunicazione di Huang e Coll. [2008] dove si affermava che la Termocoagulazione a FR del GRD è un efficace trattamento della NPH. Secondo questi Autori, attuata introducendo l’elettrodo nel 1/3 superiore del forame intervertebrale ed eseguendo 3 lesioni a 90°C/90 secondi, in 16 pazienti affetti da NPH toracica essa produsse l’immediata scomparsa dell’iperalgesia in tutti i pazienti ma 5 avevano ancora il dolore spontaneo sia pure attenuato con una VAS che scendeva da 8 a 2.

Stranamente, negli ultimi anni s’è rinnovato un certo interesse per questa procedura. Alcuni anni fa, Devor [2018] affermava che, in accordo con la tesi dei “pacemaker ectopici”, il dolore della NPH può essere eliminato senza rischio di anestesia dolorosa con l’ablazione ad un solo livello metamerico del GRD infetto. Recentemente (in base a uno studio che comprende 228 pazienti affetti da NPH toracica e dal quale risulta che tutti i pazienti ebbero riduzione dell’intensità del dolore e ad un follow-up di 10 anni 79/228 (34%) ebbero recidiva) Zang e Coll.[2022] sostenevano che la Termocoagulazione a FR del GRD è una procedura che può essere considerata per il trattamento della NPH se il paziente accetta il controllo del dolore al prezzo dell’”intorpidimento” della parte trattata. Infine, Zhu e Coll.[2022] trattarono con Termocoagulazione (monopolare o bipolare) del GRD 60 pazienti affetti da NPH ottenendo una riduzione media della VAS >50% ad un follow-up da 3 mesi a 2 anni. Gli Autori sottolinearono l’importanza di usare due elettrodi distanziati di 5 mm per eseguire la procedura ma, esaminando i risultati, le differenze fra l’impiego di uno o due elettrodi non mi sembrano molto rilevanti.

 

Figura 10 - A: Rizotomia extradurale [Scoville 1966]; B)Termocoagulazione a FR del GRD con elettrodo al ganglio spinale; C: Termorizotomia trigeminale con elettrodo tra le fibre della radice retrogasseriana

 

Prima di trarre conclusioni sulle indicazioni (o meglio la mancanza di indicazioni) di queste procedure, ci sono alcune importanti questioni da considerare.

Innanzi tutto, precisiamo che la “Termocoagulazione a FR del GRD e del ganglio di Gasser” non sono “rizotomie”. Esse, infatti, hanno come obiettivo la distruzione del ganglio e non della radice dorsale mentre (come termine di confronto) la “Termorizotomia trigeminale” (che è l’unica procedura percutanea ad essere realmente una rizotomia) ha per obiettivo l’omologo di una radice dorsale: la radice retrogasseriana (Figura 10 C).

In secondo luogo, nella Termorizotomia trigeminale è possibile eseguire una lesione che non solo coinvolge selettivamente le fibre Aδ e C risparmiando le Aβ ma anche che le coinvolge in misura quantitativamente controllabile. Inoltre, la lesione non è irreversibile perché vengono lesionate le fibre nervose e non i pirenofori che si trovano nel ganglio. Al contrario, nella Termocoagulazione a FR del GRD e del ganglio di Gasser che hanno come obiettivo il ganglio, non solo non si ha modo di attuare una lesione selettiva per interessare le fibre nervose che vogliamo coinvolgere, ma nemmeno si può graduare la lesione per limitarsi alla distruzione di un certo numero di cellule nervose e infine il danno che si produce è irreversibile perché riguarda le cellule nervose.

C’è ancora un altro fondamentale problema tecnico-anatomico da considerare: mentre nella Termorizotomia trigeminale la lesione è eseguita tramite un elettrodo collocato in una posizione subaracnoidea a stretto contatto delle fibre nervose (Figura 10 B) e quindi per ottenere la neurolesione è sufficiente una temperatura di 60-70°C/60 sec., nel caso Termocoagulazione a FR del GRD l’elettrodo si trova in una posizione extradurale (Figura 10 B) e tra esso e le fibre nervose c’è la dura madre. Ne deriva che il calore necessario per ottenere la neurolesione è molto superiore. Per risolvere il problema, Zhang e Coll. [2022] eseguono 2 lesioni a 95°C per 120 sec. Può darsi che questi parametri (empiricamente determinati e molto superiori a quelli impiegati nella Termorizotomia trigeminale) siano quelli giusti…d’altra parte, si tenga presente che se (nonostante le barriere interposte) si ottiene un risultato perché si è riusciti ad elevare abbastanza la temperatura entro il ganglio, esso è in ogni caso la distruzione di tutto il contenuto del ganglio, vale a dire indiscriminatamente delle cellule collegate alle fibre C, Aδ e Aβ senza alcuna selettività. Sono quindi evidenti le premesse teoriche per provocare la “deafferentazione” del secondo neurone e, a mio parere, queste procedure non hanno nessuna indicazione nella cura della NPH.

 

 

Proposte con fondamenti razionali

 

infiltrazione sottocutanea di anestetici locali e sterodi, cerotti medicati e capsaicina

Dati della letteratura

Le prime segnalazioni su questi trattamenti furono quelle di Epstein [1976] che sostenne l’efficacia dell’infiltrazione intradermica con triamcinolone per la cura della NPH e quella di Riopelle e Cool.[1994] quando si precisava che l’infiltrazione di anestetici locali è efficace nel controllo del dolore dell’HZ in fase acuta ma non previene la NPH.

Premesso che Jaipur è una città dell’India, nel 1998 fu proposta per la cura della NPH l’infiltrazione sottocutanea di una soluzione contenente xilocaina 2%, bupivacaina 0,5% e desametasone [Bhargava et al.1998] denominata “Jaipur block”. La soluzione fu in seguito modificata sostituendo il desametasone con metilprednisolone [Puri 2011] e poi tornando al desametazone ma con una concentrazione aumentata [Sharma et al.2021].

Nell’esperienza di Bhargava e Coll.[1998] furono trattati 3960 pazienti con NPH presente da 2 mesi a 5 anni. Il 96% dei pazienti ottenne il completo controllo del dolore (28% dopo la prima somministrazione, 57% dopo la seconda e 11% dopo la terza): soltanto il 4% dei pazienti non rispose al trattamento.

Nell’esperienza di Puri [2011] furono trattati 30 pazienti con NPH. Il 90% dei pazienti ottenne il completo controllo del dolore (20% dopo la prima somministrazione, 60% dopo la seconda e 10% dopo la terza): solo il restante 10% dei pazienti (con NPH da più di 2 anni) non rispose al trattamento.

Nell’esperienza di Sharma e Coll.[2021] furono trattati 52 pazienti con NPH da 12 mesi: in 50/52 pazienti (96%) si ebbe una riduzione della VAS da 8 a 2 ottenendo un risultato soddisfacente e soltanto in 2/52 (4%) non si ebbe risultato.

Nguyen e Coll. [2021] sostengono che l’iniezione sottocutanea di metilprednisolone e lidocaina ripetuta quotidianamente per 10 giorni può essere un trattamento efficace della NPH. In questo caso, si può pensare che sia pure per via sistemica il metilprednisolone risolva la flogosi come affermano Kotani e Coll.[2000] riferendosi alla somministrazione intratecale.

Va ancora ricordata l’osservazione di Mashhood [2005] circa il fatto che l’infiltrazione di lidocaina e triamcinolone è più efficace della sola infiltrazione di lidocaina nel trattamento della NPH.

In sostituzione dell’infiltrazione sottocutanea di anestetico locale, Ngo e Coll.[2016] raccomandavano lo spray di bupivacaina per la terapia della NPH e contemporaneamente divenne molto popolare l’applicazione di cerotti medicati. Liu e Coll.[2020] raccomandano l’impiego dei farmaci topici (specie il patch di lidocaina). Ad oggi, quello più impiegato è il lidocaine patch 5% che secondo Bianchi e Coll.[2021] produrrebbe una risposta completa al trattamento nel 63% dei casi di HZ e nel 21% dei casi di NPH e se impiegato precocemente sarebbe in grado di prevenire la NPH. Überall e Coll.[2021] segnalarono che in pazienti con NPH da più di un anno, il trattamento per sei mesi con “Lidocaina 700 mg medical plaster” aveva prodotto una significativa riduzione del dolore e in un altro studio ancora più recente [Fornasari et al.2022] si afferma che (basato sull’ipotesi dei “pacemaker ectopici” [Devor 2018] esso rappresenta addirittura “una nuova svolta nella terapia della NPH”: ulteriori conferme sull’efficacia di questo presidio provengono da Giaccari e Coll. [2022].

Infine, raccomandato da Yong e Coll.[2017], il trattamento con capsaicina 8% sarebbe stato efficace in una NPH trigeminale della I branca iniziata da 2 mesi [Kern et al.2018].

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Il razionale terapeutico della somministrazione sottocutanea di steroidi consiste nell’attuare un trattamento antinfiammatorio per via sistemica quando la NPH è sostenuta dalla flogosi.

Nel caso della somministrazione sottocutanea della lidocaina il razionale terapeutico è quello di silenziare temporaneamente i nocicettori ipereccitabili (considerati sede di “pacemaker ectopici” nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori) e con la somministrazione transdermica quello di silenziarli il più a lungo possibile. In un caso e nell’altro per ridurre l’ipereccitabilità centrale.

Da ultimo, la capsaicina (come la lidocaina e i cerotti medicati) potrebbe determinare una sorta di silenziamento prolungato dei nocicettori nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori.

 

metilprednisolone intratecale

Dati della letteratura

Da considerare con attenzione è lo studio di Kotani e Coll.[2000] ripresentato un anno dopo da Kirchner [2001] dove in 270 pazienti affetti da NPH da almeno un anno fu segnalato un risultato eccellente-buono nel 90% di 89 pazienti che ricevettero quattro volte a distanza di una settimana la somministrazione intratecale di 60 mg di metilpredinosolone e 3 ml lidocaina al 3% iniettati a livello L2/L3 (sfruttando il trendelenburg per spingere più in alto la soluzione iniettata quando necessario), nel 15% di 91 pazienti che ricevettero la somministrazione soltanto di lidocaina e nel 5% dei 90 pazienti del gruppo di controllo.

Piuttosto sconcertante e, a mio parere, anche un “patetico” è uno studio [Rijsdijk et al.2013] che includeva un piccolo gruppo di 10 pazienti e che ripeteva il protocollo di Kotani et al.[2000] confrontando la somministrazione ripetuta 4 volte a distanza di 7 giorni di 60 mg di metilprednisolone acetato e lidocaina intratecale con la sola somministrazione di lidocaina. Da questo studio risultò che i 6 pazienti che ricevettero il trattamento con metilprednisolone ebbero un amento del dolore a 8 settimane!

 

Analisi dei presupposti patogenetici

E’ interessante ricordare che Kotani e Coll.[2001] misurarono la concentrazione dell’interleuchina-8 nel liquor, riscontrando che essa era marcatamente aumentata nei pazienti con NPH, che l’aumento era inversamente proporzionale alla durata della NPH e che la concentrazione si riduceva parallelamente alla riduzione del dolore dopo la somministrazione del metilprednisolone intratecale. Gli Autori osservarono inoltre che il metilprednisolone intratecale era stato inefficace in 7 pazienti con NPH da oltre 5 anni perché era improbabile che uno stato infiammatorio importante fosse ancora presente dopo un periodo così lungo e che quindi non fosse più in causa il processo flogistico ma un danno nervoso non modificabile dal trattamento.

In definitiva, la somministrazione intratecale di metilprednisolone può essere efficace finché è presente la flogosi. Quindi, l’indicazione riguarda la NPH da ipereccitabilità dei nocicettori (I tipo) e da neuropatia assonale-demielinizzazione (II tipo) e non quella del III-tipo.

 

blocco-infiltrazione peridurale e blocco-infiltrazione del ganglio di gasser

Considerato che l’impiego intratecale del metilprednisolone in preparazione a lento rilascio non è raccomandata per il rischio di aracnoidite (segnalato comunque in casi eccezionali), forse lo stesso risultato si può ottenere con la somministrazione peridurale.

 

Dati della letteratura

Come abbiamo visto, l’infiltrazione peridurale di steroidi è stata ampiamente considerata per la prevenzione della NPH ma solo saltuariamente (e in riferimento a casistiche numericamente limitate quando non si tratta addirittura di case report) come procedura per curare la NPH e per quanto riguarda il blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser, l’unico riferimento è quello Pernak e Erdmann [1994] che riguarda la prevenzione e non la terapia della NPH.

Nell’esperienza di Shaker e Coll.[2007], in una NPH a carico di C5 presente da 2 settimane (che forse era ancora HZ), l’infiltrazione di steroidi per via transforaminale risolse la sintomatologia dolorosa (in questo caso, però, più che di trattamento forse si è trattato di prevenzione della NPH).

Nell’esperienza di Mehta e Coll.[2015], un paziente con NPH a carico di T10 guarì con un’infiltrazione dei steroidi per via transforaminale.

Nell’esperienza di Dinh e Coll.[2022], un paziente con NPH toracica guarì dopo 3 infiltrazioni steroidee per via transforaminale.

Valutando il risultato della somministrazione di steroidi per via peridurale in 42 pazienti affetti da HZ, Ghanavatian e Coll. [2019] riscontrarono che avevano un buon risultato quelli con una NPH da meno di 11 mesi e non quelli che l’avevano da più tempo.

Nell’esperienza di Beydoun e Coll.[2021], con l’infiltrazione peridurale di steroidi e anestetici locali eseguita da 1 a 3 voltre, in 20 pazienti (14 pazienti con HZ acuto cioè con dolore da <3 mesi e 6 con NPH cioè con dolore da >3 mesi), produsse a 6 mesi dal trattamento una riduzione della VAS da 8,3 a 1,8 nei pazienti con HZ acuto e da 7.8 a 4.3 in quelli con NPH.

Avvalorando la tesi della patogenesi infiammatoria della NPH, in uno studio [MiChoi et al.2020] vennero inclusi 44 pazienti presumibilmente oltre la fase acuta dell’HZ con sintomi da 30 a 180 giorni e quindi verosimilmente con NPH in una fase ancora soggetta a remissione: 21 pazienti (Gruppo A) furono sottoposti a un unico blocco peridurale con 5 mg di desametazone e 21 pazienti (Gruppo B) previo impianto di catetere peridurale lasciato in sede per 10 giorni furono sottoposti a 3 boli di 5 mg di desametazone (il 1°, il 5° e il 10° giorno) assieme all’infusione continua di anestetico locale (Ropivacaina) durante tutto il periodo. Vi fu completa remissione del dolore nel 28% dei casi nel Gruppo A e nell’80% dei casi nel Gruppo B.

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Riferendoci allo stesso presupposto patogenetico, forse si può ottenere lo stesso risultato che si ottiene con il metilpredisolone intratecale scegliendo la via peridurale per l’infusione degli steroidi ma di questo parere non erano Kikuchi e Coll.[1999] avendo riscontrato un risultato nettamente superiore nei pazienti trattati per via intratecale con il protocollo di Kotani et al.[2000].

In ogni caso, considerata la possibile persistenza della flogosi (forse solo nelle NPH del I e del II tipo), forse conviene in ogni caso eseguire il trattamento antiflogistico mirato con la peridurale segmentaria o l’infiltrazione del ganglio di Gasser nei primi 6 mesi dall’esordio della malattia: nei primi 15 giorni per prevenire la NPH sfruttando il blocco del simpatico, il trattamento antiflogistico mirato e (forse) il blocco del trasporto assonale del virus e dopo per curarla eliminando la quota flogistica che potrebbe ancora essere presente.

 

Protocollo terapeutico (uguale a quello proposto per la cura-prevenzione della NPH)

Blocco-infiltrazione peridurale segmentaria con 2 ml di metilprednisolone (80 mg) e 5 ml di bupivacaina allo 0,5% per “bagnare” la radice bersaglio e quelle immediatamente sopra e sottostanti, ripetuto dopo 2 settimane.

Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser con 1 millilitro di metilpredndisolone (40 milligrammi) e 2 millilitri di anestetico locale (bupivacaina 0,5%), secondo lo schema proposto da Pernak e Erdmann [1994] modificato per l’aggiunta della buivacaina.

 

Trattamento a radiofrequenza pulsata (RFP) del GRD e del ganglio di Gasser

Dati della letteratura

NPH a carico dei nervi spinali - Uno studio [Kim et al.2017] riferisce i risultati del Trattamento a RF pulsata del GRD in un gruppo di 29 pazienti affetti da HZ-NPH da 3 mesi e in un altro gruppo di 29 pazienti con NPH da 3-6 mesi: nel primo gruppo si ebbe un buon risultato in una maggior percentuale di soggetti (…forse perchè avendo il dolore da meno di 3 mesi avevano più probabilità di guarigione spontanea).

Secondo una osservazione, il trattamento a RF pulsata del GRD associato al gapapentin sarebbe più efficace del solo trattamento con gabapentin [Huang et al.2018] perchè aumenterebbe l’immunità T-cell mediata e “inibirebbe la risposta infiammatoria” (sic).

Trattati 25 pazienti con NPH dell’arto superiore Ding e Coll.[2020] riscontrarono una riduzione media della VAS da 7.5 a 2.5-3 che si instaurava progressivamente in un mese ed era ancora presente a un anno

Per sottolineare l’efficacia del trattamento a RF pulsate sul GRD o sul nervo intercostale in pazienti affetti da NPH, Huang [2021] afferma genericamente che e a 3 mesi dal trattamento la VAS era “significativamente migliorata”.

Infine, l’efficacia della RFP ad alta frequenza è segnalata in uno studio recente dove si afferma che essa ridurrebbe il numero dei canali del sodio Nav1.7 nel GRD [Dai et al.2022].

 

NPH trigeminale - Trattati 45 pazienti con NPH trigeminale Ding e Coll.[2019b] riscontrarono una riduzione media della VAS da 6.5 a 2.5 che si instaurava progressivamente in un mese ed era ancora presente a un anno.

Liu e Coll[2021] sottoposero al Trattamento a RF pulsata del ganglio di Gasser 32 pazienti affetti da MPH della I branca trigeminale presente da 6 mesi a 3 anni: 30/32 pazienti ottennero una marcata riduzione del dolore (VAS 0-3) a partire dalla prima settimana e ad un follow-up di 3 mesi. Indipendentemente dal tipo di NPH che non è stato chiarito, globalmente i risultati ottenuti sembrano soddisfacenti: i miglioramenti da guarigione spontanea sono poco probabili considerato che i pazienti avevano la NPH da 6 mesi a 3 anni ma un follow-up di soli 4 mesi è insufficiente per escludere le recidive da perdita dell’effetto del trattamento.

Li e Coll.[2021] affermano una riduzione del dolore da NPH trigeminale a carico della I branca a 1-3-6 mesi dalla procedura con il trattamento a RF pulsata del nervo sopraorbitario, precisando che la RF pulsata ad alto voltaggio è più efficace di quella convenzionale.

La RF pulsata del ganglio di Gasser è consigliata da Wan e Coll.[2022] che gli Autori eseguirono in pazienti con NPH trigeminale da meno di 3 mesi definendola in “fase acuta-subacuta”: in realtà, in essi è ancora possibile la guarigione spontanea.

Infine, anche se non è chiaro in base a quale criterio vengono associate le NPT trigeminali e dell’arto superiore, qualche risultato sarebbe stato ottenuto nella NPH a carico del viso e dell’arto superiore con il blocco del ganglio stellato e…con il trattamento a RF pulsata del ganglio stellato [Ding et al.2019a].

 

Analisi dei presupposti patogenetici

La RP pulsata aumenterebbe il gene C-fos nelle cellule nervose del GRD e nel corno dorsale del midollo spinale che a sua volta aumenterebbe l’attività degli interneuroni inibitori. A conforto di questo ragionamento, fu osservato che ¼ dei neuroni spinali che esprimono il gene C-fos sono interneuroni inibitori (glicinergici, GABA-ergici [Todd et al.1994] e dinorfinergici) il cui incremento corrisponde all’attivazione del meccanismo antinocicettivo noto come “long term depression” [Sandkuhler et al.1997].

Avanzando dubbi sulla tesi della neuromodulazione, Erdine et al.[2005] studiarono con la microscopia elettronica il GRD del ratto trattato con la corrente a RF pulsata e riscontrarono danni cellulari consistenti nella degenerazione dei mitocondri, nell’ampliamento delle cisterne del reticolo endoplasmatico e nella perdita della membrana nucleare, concludendo che la corrente a RF pulsata è “meno neurolesiva” della corrente a RF continua ma non è una tecnica non distruttiva. A corollario di questi riscontri, Protasoni et al.[2009], riscontrarono un danno nervoso limitato alle guaine mieliniche.

Sposando l’ipotesi che la RF pulsata applicata sul GRD o sul ganglio di Gasser attivi un meccanismo inibitorio, c’è da chiedersi su cosa effettivamente agisca e quindi in quale tipo di NPH.

Riconsiderando il lavoro di Liu e Coll[2021] sul Trattamento a RF pulsata del ganglio di Gasser, notiamo che essi eseguirono l’erogazione della corrente a RF pulsata per 8 minuti programmandola per limitare a 42°C la temperatura del tessuto attorno all’elettrodo, con una impedenza di 200-300 Oms e un elettrodo con punta attiva di 2 mm quindi in una posizione ai limiti fra la cisterna trigeminale (dove l’impedenza che si rileva è 200 Oms) e il ganglio di Gasser (dove l’impedenza che si rileva è 400 Oms). Tecnicamente, si dovrebbe collocare la punta attiva dell’elettrodo nella compagine del ganglio di Gasser (quindi può essere opportuno un elettrodo con punta attiva di 2 mm) ma l’impedenza dovrebbe essere decisamente sopra i 300 Oms: in pratica, la procedura consigliabile dovrebbe consistere nel raggiungere la cisterna trigeminale (verificando la fuoriuscita del liquor e un’impedenza di 200 Oms) e poi ritirare l’elettrodo fino a collocarne la punta attiva nella compagine del ganglio, verificando la cessazione dell’aspirazione del liquor e l’aumento dell’impedenza fino a 400 Oms.

Un’altra considerazione va fatta a proposito delle osservazioni di Han e Coll.[2020] che condussero uno studio su 109 pazienti affetti da NPH toracica e impiegarono la RF pulsata “ad alto voltaggio” (65 V) sostenendo che ha maggiori probabilità di essere efficace…ma saltuariamente produce lieve intorpidimento della cute (parziale effetto neurolesivo?). Dello stesso parere furono Wan e Coll.[2022] confermando la maggiore efficacia della RF pulsata ad alto voltaggio rispetto a quella standard. D’altra parte, a sostegno della tesi della neuromodulazione, è stata sottolineata l’importanza del campo elettrico prodotto dalla corrente a RF pulsata. Sebbene anche quella continua produca un campo elettrico, quello prodotto dalla corrente a RF pulsata sarebbe “più forte” forse perché la brevità dei picchi di tensione consente l’impiego di un voltaggio più elevato.

 

Indicazioni del Trattamento a RF pulsata del GRD e del ganglio di Gasser

Accettando l’ipotesi che la RF pulsata applicata sul GRD o sul ganglio di Gasser attivi un meccanismo inibitorio, essa è utile quando c’è un’afferenza da inibire e quindi nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori dove inibirebbe l’eccesso di attività nelle fibre C. Discutibile è la sua indicazione nella NPH da demielinizzazione dove dovrebbe inibirebbe le fibre Aδ e nella NPH da neuropatia assonale dove dovrebbe inibire le Aβ. Certo non può agire nella NPH da deafferentazione dove non c’è nulla inibire e neppure in quella centrale.

Quindi, il Trattamento a RF pulsata del GRD e del ganglio di Gasser è indicato solo nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori e, producendo un risultato parziale e transitorio con alta probabilità di recidiva, è di limitata utilità nella cura della NPH ed inoltre implica la ripetizione periodica della procedura...forse nell’attesa dell’auspicata guarigione spontanea.

 

Spinal Cord Stinulation (SCS)

Il meccanismo di azione della SCS è classicamente considerato l’attivazione delle afferenze inibitorie Aβ e su queste premesse sono state messe a punto le tecniche di impianto dell’elettrocatetere. Negli ultimi anni, però, l’attenzione nei confronti della SCS si è spostata verso due importanti innovazioni tecnologiche che hanno rimesso in discussione i meccanismi di azione ed hanno dato nuove speranze: si tratta della “SCS ad alta frequenza” introdotta nel 2010 e della “Burst SCS” introdotta nel 2013.

 

Dati della letteratura

Non vi sono molte esperienze circa l’impiego della SCS nel trattamento della NPH. In quella di Meglio e Coll.[1989], 10 pazienti furono sottoposti all’impianto provvisorio per testare l’efficacia della SCS: 6/10 ebbero una riduzione >50% dell’intensità del dolore e furono sottoposti all’impianto definitivo con un risultato positivo che si protrasse ad un follow-up di 15-46 mesi e in quella di Baek e Coll.[2011], 11 pazienti furono sottoposti al test ma solo 4 furono poi sottoposti all’impianto definitivo con un risultato antalgico favorevole (VAS inferiore a 3) che si protrasse durante un follow-up di 2 anni.

L’efficacia della SCS fu sostenuta da Iseki et al.[2009] e da Moriyama [2009] e in una più recente revisione della letteratura [Texakalidis et al. 2019] che include 243 pazienti risulta che la SCS ha prodotto una riduzione media della VAS da 7.6 a 2.7 ad un follow up 18 mesi.

Recentemente, Liu [2021] raccomandò la short-term spinal cord electrical stimulation e altri sostennero l’efficacia della SCS e dell’elettrostimolazione del nervo spinale [Huang et al.2022].

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Oltre 40 anni fa, Larson et al.[1974, 1975] rimisero in discussione il meccanismo d’azione della SCS incentrato sull’attivazione delle grandi afferenze mieliniche, segnalando l'efficacia antalgica dell'elettrostimolazione della metà anteriore del midollo e ipotizzarono che responsabile del pain relief da SCS non fosse l’attivazione dei cordoni posteriori ma il blocco di conduzione delle vie spinotalamiche. Sulla stessa linea di pensiero, impiantati elettrodi nello spazio subaracnoideo a livello C1-C2, Hoppenstein [1975a, 1975b] ottenne pain relief con una corrente di intensità 30 volte inferiore quando gli elettrodi erano collocati di fronte al fascio spinotalamico laterale rispetto a quando erano collocati posteriormente ed osservò che nel primo caso il pain relief era controlaterale alla sede stimolata. A conferma di queste osservazioni, si noti che spesso durante la Cordotomia il paziente riferisce la temporanea scomparsa del dolore controlaterale ancora prima della lesione quando l'elettrodo è penetrato nel fascio spinotalamico laterale e si esegue l’elettrostimolazione sensitiva. In quegli stessi anni, Campbell e Taub [1973] e Ignelzi e Nyquist [1976] formalizzarono l’ipotesi in base alla quale la neurostimolazione, più che “aggiungere impulsi al nervo”, vi “ridurrebbe il numero di impulsi”, determinandovi un “blocco di conduzione”. A sua volta, il blocco di conduzione sarebbe dovuto all'accumulo di ioni K attorno all'assone ed alla conseguente riduzione della conduttanza dei canali del Na. In pratica, la corrente che stimola il nervo entrerebbe in collisione con lo stimolo elettrico che percorre ortodromicamente le fibre nervose, bloccandolo (teoria della corrente di collisione) [Adelman e Fitzhugh 1975, Campbell [1980].

 

Figura 11 -

Se si accetta l’ipotesi del blocco di conduzione nelle fibre nocicettive, è ovvio che il target da stimolare si sposta dalle grandi afferenze mieliniche alle piccole fibre Ad e C e cambiano la tecnica di impianto ed i parametri di stimolazione. In realtà, è probabile che il blocco di conduzione non riguardi le fibre ascendenti del lemnisco spinale che sono alquanto distanti dalla sede dov’è collocato l’elettrodo, con l’interposizione del fascio piramidale: le fibre del SAM, invece, sono relativamente vicine all’elettrodo ed è più probabile che siano proprio queste ad essere coinvolte dalla SCS ad alta frequenza e dalla “Burst SCS” (Figura 11). Considerato che è il SAM ad essere coinvolto nella conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico, questo meccanismo spiegherebbe l’effetto della HT-SCS e della Burst-SCS sul dolore neuropatico e spiegherebbe anche perché la “classica” SCS non era altrettanto efficace.

 

La SCS ad alta frequenza (HT-SCS) – La SCS ad alta frequenza consiste nel posizionamento di un doppio elettrodo ottopolare fra la VIII e la XI vertebra toracica (con il primo contatto di un elettrodo a livello della limitante superiore del corpo della VIII vertebra toracica e l’ultimo contatto del secondo elettrodo a livello della limitante inferiore del corpo della XI vertebra toracica) in corrispondenza della linea mediana e la stimolazione a 10.000 Hz. Notare che per attuare la procedura non è necessario evocare le parestesie nella sede del dolore come nella classica SCS, per cui l’impianto degli elettrodi è più semplice e veloce e, non richiedendo la collaborazione del paziente per la ricerca delle parestesia, può essere eseguito con una profonda sedazione ed un maggior confort.

 

La Burst SCS - La Burst-SCS allo stesso modo della HT-SCS esercita il suo effetto antalgico senza evocare parestesie. La Busrt-SCS consiste nell’invio di “pacchetti” di 5 impulsi alla frequenza di 500-1000 Hz “spediti” 40 volte al secondo [Van Havenbergh et al.2015] che, “mimando” la naturale tendenza alle scariche del sistema nervoso, produrrebbero l’effetto antalgico sincronizzandosi con esse [Chakravarthy et al.2018].

 

Indicazioni della SCS nella NPH

Riconsiderando gli esigui dati della letteratura, risulta che alcuni pazienti risposero favorevolmente alla SCS ed alti no: verosimilmente il risultato positivo o negativo dipendeva dal tipo (di cui non è fatta menzione) di NPH. In conclusione, la SCS potrebbe essere indicata nella NPH da neuropatia assonale e nella NPH da demielinizzazione, è inutile in quella centrale che non dipende dal SAM e superflua in quella da ipereccitabilità dei nocicettori. Per quanto riguarda l’utilità della SCS nella NPH da deafferentazione, se realmente essa agisce sul SAM non si può escludere una sua efficacia.

 

DREZ-lesion

La Dorsal Root Entry Zone lesion (DREZ-lesion) è la termolesione a radiofrequenza delle prime 5-6 lamine di Rexed che costituiscono la dorsal root entry zone (DREZ) e contengono i secondi neuroni da cui originano le vie nocicettive centrali (Figura 12). L’operazione è eseguita con tecnica a cielo aperto e con il supporto del microscopio operatorio.

 

 

Figura 12 - La DREZ-lesion

 

Dati della letteratura

I risultati ottenuti da Friedman, Nashold e Ovelmen-Levitt [1984] nella cura della NPH sono incoraggianti: su 12 pazienti trattati, 6 ottennero un completo e persistente pain relief e da una più recente revisione della letteratura [Texakalidis et al. 2019] che include 84 pazienti con NPH presente con una media di 3,6 anni, risulta che la DREZ lesion ha prodotto una riduzione media della VAS da 8.7 a 3.7 ad un follow up di 10 anni.

 

Analisi dei presupposti patogenetici

Per quanto concerne l’ipotetico meccanismo di azione [Nashold et al.1976, Nashold e Ostdahl 1979, 1980, Pagni e Debenedittis 1987, Nashold [1984], la DREZ-lesion esplicherebbe il suo effetto antalgico con la distruzione dei pain generating mechanisms [Melzack e Loeser 1978] nel corno dorsale del midollo e in particolare delle cellule di origine delle vie paleospinotalamiche.

 

Figura 13 - La pseudonocicezione del dolore neuropatico prende anche la via del sistema ascendente multisinaptico (SAM) oltre quella lemniscale (STT). Notare l’interneurone inibitorio (in grigio) [Orlandini 2020]

 

 

L’ipotesi che la DREZ-lesion agisca in quanto distrugge le cellule di origine delle vie paleospinotalamiche potrebbe far pensare che la Cordotomia possa essere altrettanto efficace. In realtà, la Cordotomia distrugge solo le afferente paleospinotalamiche che prendendolo la via del fascio spinotalamico laterale mentre la DREZ-lesion coinvolge anche quelle che danno origine al SAM che costituiscono le vie afferenti centrali del dolore neuropatico. Sembra infatti che l’attività elettrica che è alla base del dolore neuropatico (“pseudonocicezione” per distinguerla da quella normale) sia condotta da afferenze centrali diverse da quelle che conducono la normale nocicezione che evoca il dolore tessutale, vale a dire dal SAM anziché dalle vie lemniscali (Figura 13). Questa differenza dipenderebbe dal fatto che le cellule di origine del SAM sono tonicamente inibite dalle normali afferenze nocicettivo e quando queste diminuiscono come avviene nel dolore neuropatico aumenta la loro attività [Loeser 1983].

 

Indicazioni della DREZ-lesion

Limitatamente alle NPH a carico dei nervi spinali, la DREZ-lesion potrebbe essere indicata nella infrequente NPH da deafferentazione e nella NPH da neuropatia assonale-demielinizzazione mentre è inutile in quella centrale che non dipende dal SAM e superflua in quella da ipereccitabilità dei nocicettori.

 

Nucleotomia trigeminale

La nucleotomia trigeminale è la lesione chirurgica condotta nella zona giunzionale fra il primo e il secondo neurone trigeminale, nel subnucleo caudale. Questa struttura, chiamata anche “medullary dorsal horn” [Yokota 1985], è la prosecuzione craniale del corno dorsale del midollo spinale ed è anatomofunzionalmente l’omologo della DREZ spinale. Deriva da questo che la nucleotomia trigeminale va considerata l’omologo della DREZ-lesion spinale. Come tale, essa è stata proposta per curare i cosiddetti “dolori facciali da deafferentazione” [Hitchcock e Schvarcz 1972, Schvarcz 1977].

 

Figura 14 - Nucleo spinale del trigemino e target della rizotomia, della trattotomia e della nucleotomia

 

Va osservato che mentre nella radice retrogasseriana le fibre nocicettive, tattili e propriocettive decorrono frammiste le une alle altre, entrando nel ponte la maggior parte delle fibre per la sensibilità tattile e propriocettiva si separa da quelle che conducono la nocicezione. Le prime giungono al nucleo sensitivo principale, le altre scendono nel tratto spinale e convergono nel subnucleo caudale (Figura 14). La diversa organizzazione anatomica spiega perchè la rizotomia produce analgesia associata ad anestesia, mentre la trattotomia e la nucleotomia producono la lesione selettiva delle fibre nocicettive con analgesia senza anestesia. Inoltre, dato che il nucleo motore trigeminale è lontano dal target anatomico di queste operazioni, la trattotomia e la nucleotomia non possono causare alcun deficit motorio.

La nucleotomia trigeminale può essere eseguita con la tecnica posteriore stereotassica, con la tecnica percutanea per via posterolaterale o con la “tecnica percutanea per via laterale” (Figure 15 e 16).

 

Figura 15 -

 

 

Riferendomi per motivi affettivi alla tecnica percutanea per via laterale da me proposta [Orlandini 1995], teniamo presente che il subnucleo caudale può essere raggiunto con un approccio laterale tra occipite e C1, simile a quello della trattotomia bulbare, cioè passando con l’ago sopra la lamina dell’atlante. Per chi è esperto nella tecnica della Cordotomia Cervicale Percutanea, la procedura per via laterale è sicuramente la più intuitiva. Dall’esperienza delle nucleotomie che ho effettuato con questa tecnica, risulta che un limite del metodo è di non consentire un posizionamento abbastanza craniale della punta dell’ago, tale da coinvolgere le porzioni del subnucleo caudale collegate con la II e la III branca. Inoltre, dato che il subnucleo causale non è un fascio di fibre ma un agglomerato di cellule, esso può essere distrutto solo da una lesione sufficientemente estesa longitudinalmente da comprenderne la maggior parte. Questo comporta una serie di lesioni previo riposizionamento dell’elettrodo lungo il piano longitudinale e la lesione è intensamente dolorosa, forse perchè la punta dell’elettrodo diretto così obliquamente è in una posizione sottopiale.

Figura 16 -

Facendo una sintesi delle casistiche della letteratura, si rileva che con la Nucleotomia si ha pain relief in più del 60% dei pazienti con NPH trigeminale. Sono risultati non entusiasmanti ma comunque interessanti riferiti ad una patologia di così diffide trattamento: probabilmente, la tecnica della Nucleotomia meriterebbe di essere perfezionata ma nell’epoca della premiata mediocrità certo si preferisce affidarsi ai “cerotti medicati”...

 

Terapia farmacologica per via subaracnoidea

Previo impianto di catetere intratecale collegato a pompa infusionale, si somministrano midazolam e oppiacei.

Secondo una revisione della letteratura [Texakalidis et al. 2019], i pazienti cui era stato somministrato il midazolam ebbero una riduzione del dolore >50% e quelli cui erano stati somministrati oppiacei una riduzione del dolore del 41%.: nella metà dei casi il trattamento fu sospeso per effetti collaterali e perdita di efficacia. Recentemente è stata proposta la somministrazione di morfina o idromorfone (rispettivamente 5 mg e 1 mg/100 ml di soluzione fisiologica) somministrata per via peridurale previo posizionamento di catetere collocato con la punta in corrispondenza del metamero interessato dalla NPH alla velocità di 1ml/h per 72 ore [Yiping et al.2022] e (se si è disposti a crederlo) è stato sostenuto che l’effetto antalgico si protraeva per due settimane dopo il trattamento.

 

 

Razionalizzazione della terapia della NPH

 

Ricordando che nella NPH quasi sempre si ha la presenza contemporanea di più di un una lesione nervosa elementare e quindi l’associazione di più tipi patogenetici, quel che dobbiamo fare è cercare di individuare quelli presenti e riconoscere quello predominante.

Premesso questo, dal punto di vista della terapia, un suggerimento che vale per tutti i tipi di NPH iniziata da non più di 6 mesi (confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio e che questo sia patogeneticamente rilevante), è quello di procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale o il Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser ripetuto dopo 2 settimane che, anche se non fossero risolutivi della sintomatologia dolorosa, potrebbero limitare l’aggravarsi del danno nervoso.

Per importanti differenze procedurali, conviene considerare separatamente la terapia della NPH a carico dei nervi spinali e quella a carico del trigemino.

 

Terapia della NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori

NPH a carico dei nervi spinali

Nella NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori a carico dei nervi spinali, spesso destinata a rapida guarigione possono essere sufficienti l’infiltrazione sottocutanea di anestetici locali e steroidi, i cerotti medicati, la capsaicina, i FANS (dato che l’ipereccitabilità dei nocicettori è in parte sostenuta dalla liberazione di prostaglandine dal neurone simpatico post-gangliare) e gli oppiacei minori (tramadolo e tapentadolo). In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si p considerare il Trattamento a radiofrequenza pulsata (RFP) del GRD per inibire l’eccesso di attività nelle fibre C eventualmente ripetuto periodicamente se, come è prevedibile, il risultato è solo temporaneo.

 

NPH a carico del trigemino

Nella NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori a carico de trigemino, spesso destinata a rapida guarigione possono essere sufficienti l’infiltrazione sottocutanea di anestetici locali e steroidi, i cerotti medicati, i FANS e gli oppiacei minori (tramadolo e tapentadolo). In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si può considerare il Trattamento a radiofrequenza pulsata (RFP) del ganglio di Gasser per inibire l’eccesso di attività nelle fibre C eventualmente ripetuto periodicamente se, come è prevedibile, il risultato è solo temporaneo.

 

Terapia della NPH da neuropatia assonale

NPH a carico dei nervi spinali

Nella NPH da neuropatia assonale è efficace l’amitriptilina (75 mg/die) impiegata per sfruttare il suo effetto di potenziamento della via discendente inibitoria serotoninergica del FDL e, in alternativa, la duloxetina (60 mg/die). In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si può prendere in considerazione la HT-Spinal Cord Stimulation o la Burst-Spinal Cord Stimulation per la loro azione di blocco della conduzione nel SAM che è coinvolto nella conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico.

 

NPH a carico del trigemino

Nella NPH da neuropatia assonale è efficace l’amitriptilina (75 mg/die) impiegata per sfruttare il suo effetto di potenziamento della via discendente inibitoria serotoninergica del FDL e, in alternativa, la duloxetina (60 mg/die). In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio. Se queste procedure non hanno effetto, non si dispone purtroppo di altre risorse e non restano che gli estremi rimedi considerati per le più gravi NPH centrali.

 

Terapia della NPH da demielinizzazione

NPH a carico dei nervi spinali

Nella NPH da demielinizzazione sono efficaci la carbamazepina, l’oxacarbazepina o la lamotrigina. In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si può prendere in considerazione la HT-Spinal Cord Stimulation o la Burst-Spinal Cord Stimulation per la loro azione di blocco della conduzione nel SAM che è coinvolto nella conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico.

 

NPH a carico del trigemino

Nella NPH da demielinizzazione sono efficaci la carbamazepina, l’oxacarbazepina o la lamotrigina. In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si potrà prendere in considerazione la Termorizotomia trigeminale a RF con l’obiettivo di produrre una lesione a carico delle fibre Aδ come si fa per trattare la Nevralgia del trigemino nella sclerosi multipla.

 

Terapia della NPH da deafferentazione

NPH a carico dei nervi spinali

Tenendo presente che per quanto riguarda i nervi spinali la NPH da deafferentazione costituisce un problema minore, con l’obbiettivo di bloccare i canali del calcio nel secondo neurone per limitarne l’attivazione spontanea possono essere utili il gabapentin ad alte dosi (1600 mg/die) e/o il baclofene 75 mg/die (anche in associazione). In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si potrà sperare soltanto su:

1) la DREZ-lesion;

2) la HT- Spinal Cord Stimulation o la Burst- Spinal Cord Stimulation (non potendone escludere l’efficacia se si ammette che esse agiscano bloccando la conduzione nel SAM che è coinvolto nella conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico (compreso quello da deafferentazione).

 

NPH a carico del trigemino

Tenendo presente che in questa sede la NPH da deafferentazione costituisce un problema gravissimo, con l’obbiettivo di bloccare i canali del calcio nel secondo neurone per limitarne l’attivazione spontanea possono essere utili il gabapentin ad alte dosi (1600 mg/die) e/o il baclofene 75 mg/die (anche in associazione). In ogni caso, è bene procedere con il Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser se la NPH è iniziata da non più di 6 mesi, confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio.

Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si potrebbe considerare la Nucleotomia trigeminale…se qualcuno fosse in grado di eseguirla! Al di fuori di questa procedura, non si dispone purtroppo di altre risorse e non restano che gli estremi rimedi considerati per le più gravi NPH centrali.

 

Trattamento dei casi disperati

Nei casi realmente gravi e intrattabili in altro modo è lecito considerare soluzioni aggressive con trattamenti farmacologici diretti a indurre una sorta di dissociazione psicologica che interferisca con la produzione dell’emozione dolore: a questo scopo si dispone dei farmaci neurolettici e in casi estremi della psicochirurgia.

 

Neurolettici

Tra i neurolettici, possono essere utili la flufenazina [Mitas et al.1983], l’aloperidolo [Raft et al.1979, Shir et al.1990] e soprattutto la clorpromazina [McIver et al.1994, Mehl-Madrona 1999]. La clorpromazina (Largactil cp 25-100 mg, f im-ev 50 mg, da somministrare alla dose di 1cp 25-100 mg/8 ore, 1 f da 50 mg/8 ore. Talofen f im-ev 50 mg, gt 1gt = 2 mg) potrebbe essere particolarmente interessante perché, secondo una segnalazione (in realtà l’unica che ho trovato) bloccherebbe i canali del sodio Nav1.7 la cui carenza è considerata causa di analgesia congenita e quindi potrebbe determinare un’elevazione della soglia di percezione del dolore [Lee et al.2017].

 

Psicochirurgia

Per quel che riguarda l’estremo rimedio della psicochirurgia, ricordiamo che essa consiste nell’interruzione delle connessioni talamo-fronto-limbiche ed è diretta alla soppressione dei meccanismi che interpretano affettivamente gli stimoli somatosensoriali, fra cui la nocicezione. Teoricamente, con gli interventi psicochirurgici si ottiene il controllo della sofferenza senza analgesia e quindi dopo queste operazioni sono ancora avvertiti e riconosciuti gli stimoli nocicettivi ma il dolore non disturba più, essendosi ottenuta un’indifferenza al dolore che un tempo, con la classica lobotomia (o leucotomia) prefrontale, era ottenuta al prezzo di un severo deterioramento psicologico e intellettivo. Per fortuna, oggi, con la moderna cingulotomia che ha soppiantato la vecchia lobotomia, tali deficit sono più sfumati e incostanti.


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